UZAK 07/08 | estate/autunno 2012

Luigi Abiusi

low_tide_minervini2I ritorni di settembre riguardano tutta una costellazione di riverberi, sebbene non sia passato molto tempo dalla fine della Mostra di Venezia o del Festival di Locarno, in cui c'è stata la prima presentazione del Film in cui nuoto è una febbre, seguita da quella veneziana il 3 settembre, ragione per cui il numero 7 di Uzak non è uscito in tempo, accorpandosi adesso all'8, in un'edizione doppia che rappresenta il transito verso un autunno di rimuginazioni. Prima tra tutte il capolavoro di Terrence Malick To the wonder, che ho già difeso (nello speciale dedicato alla mostra) da ogni – pur ragionevole – critica, e di cui scrivo diffusamente nel prossimo Filmcritica (per dire, tra l'altro, di una rivista eponima a cui Uzak si sente vicino), perché si tratta di un lirismo spinto, eccedente, manierista come certe “croste” dalla cui immobilità trasudi inquietudine elevata a monismo.

Stefano Velotti

riefenstahl_ex_olympia_12Estratto da S. Velotti, La filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare, Laterza, Roma-Bari 2012

Abbiamo già accennato al ruolo che l’immaginazione svolge nella percezione del reale, sottolineando come, nel caso della produzione e fruizione artistica, il lavoro dell’immaginazione si svincoli dal suo ruolo di servizio nei confronti dei concetti e dell’agire pratico (per i quali fornisce schemi, illustrazioni, piani) e venga in primo piano nella sua relativa autonomia (quando accade che sono piuttosto i concetti e le azioni che devono fare i conti con la complessità dei prodotti dell’immaginazione, senza riuscire a venirne a capo in maniera soddisfacente o esaustiva).

Andrea Bruni

killer_joePrologo metafisico

Gli Dei Monocoli, sui loro troni di marmo, governano ed osservano. I loro nomi son nomi di leggenda… Fritz Lang, John Ford, Raoul Walsh… In un cielo gravido di nubi, da Walhalla, mille spiragli concedono agli Dei Monocoli un rapido sguardo sui resti di Hollywood, la Grande Babilonia. Ma da molto, moltissimo tempo gli Dei Monocoli sembrano mute statue lignee con aria da Sfinge. Troppi fantasmi senza pace urlano fra Il Sunset Boulevard e la Morgue. Anime in pena sbranate dal Moloch del Buon Senso. Ed i suoi cuccioli dementi: il Politically Correct e la Censura Catodica.

Simone Ghelli

tuttalavita05aMettere il lavoro in immagine, mettere l’immagine al lavoro. Sembrerebbe una pessima battuta, soprattutto in tempi in cui il lavoro si perde sempre più facilmente e il tasso di disoccupazione è salito a dei livelli che non si riscontravano da anni. Eppure il cinema italiano, anche se lentamente e con tutti i problemi strutturali di un’industria anch’essa piuttosto in crisi, al lavoro ci si è messo, ed ha provato a interrogarsi sul fenomeno, o almeno a renderci un’immagine di quel mondo così variegato che risponde alla definizione di precariato. I titoli degli ultimi anni sono a dire il vero in numero piuttosto scarso1, eppure manifestano un chiaro orientamento del cinema italiano, che, oggi come ieri, sembra prediligere il filtro della commedia a tinte grottesche per restituirci una realtà a tratti surreale, che riusciamo ad accettare soltanto ridendoci sopra, per quanto amaramente.

Francesco Saverio Marzaduri

dupa_dealuri_largeIl Caso. Si tratti di personaggi principali o di contorno, le figure che attraversano la seppur ancor breve filmografia di Cristian Mungiu – e, a ben guardare, un po’ tutta la recente produzione cinematografica romena – quasi sempre sono guidati dalla casualità degli eventi. Eventi, come dimostra la più vetusta delle tradizioni narrative, a loro volta molto più grandi di chi vi si trova coinvolto. Paradossalmente, però, non dovrebbe suonare strano come il topos della casualità, tale sia divenuto nella cinematografia in questione, se si pensa all’avvenimento più rilevante accaduto in Romania vent’anni fa or sono: quel 21 dicembre 1989, che vide la disfatta di Ceauşescu in seguito a una sommossa popolare, per l’appunto un episodio trascorso nel segno della casualità.

Gemma Adesso e Vincenzo Martino



taurusTerza puntata dello studio che UZAK ha deciso di dedicare alla Tetralogia del potere di Sokurov. Dopo il Faust (2011) e Il Sole (2005), il riavvolgimento del nastro prosegue inseguendo Toro (2001).





Matteo Marelli

moloch-1999-01-gQuarta e ultima puntata dello studio che UZAK ha deciso di dedicare alla Tetralogia del potere di Sokurov riletta nei termini della fiaba. Dopo il Faust (2011), Il Sole (2005) e Toro (2001), il riavvolgimento del nastro si ferma dinanzi a Moloch (1999).



Matteo Marelli

fass«Non conosco altra persona, oltre a me, che insegua con tanta disperata ostinazione quell’utopia probabilmente infantile e impudente che si chiama amore (queste parole, signori miei, bastano a smascherarsi, non è così?), e che affronti angosciosamente sempre le stesse dolci amare esperienze. Ma l’esperienza non serve mai…»: così scrive Fassbinder (in Crucciani 2010) in un breve intervento su Werner Schroeter. Quello sguardo, sempre sull’orlo di una depressione fatale, lascia intuire come per lui l’amore costasse fatica; tanta, da risultargli, alla fine, essere addirittura più freddo della morte.

Michele Moccia


Arca_Russa_Screenshot«Mi metto in cima al baratro e ci danzo/ su, più squilibrato/ del daino;/ ma meno del maiale.// Non corro alcun pericolo, m’appoggio/ al vuoto delle masse/ celesti che si plasmano/ sulla mia figura.// Il vento mi trapassa/ tra le gambe, sul collo, sotto i piedi:/ imparo la ginnastica del mondo/ i passi della faccia successiva (Marco Guzzi)

Il cinema danza. È danza. In esso danzano le immagini che si incontrano e si allontanano, che si sovraimprimono, fondendosi, quasi a non volersi lasciare andare. E danzano le luci, le ombre, i colori, i corpi, i gesti, gli sguardi e le parole, in un moto infinito di corrispondenze. Di congiuntivi imperfetti. Di ombre del desiderio.

Michele Sardone

rothkochapelAttraverso Shame di Steve McQueen, ecco un tentativo di rileggere alcuni film dell’ultima stagione cinematografica che hanno un tema in comune: l’iconoclastia, intesa come insofferenza per la perfezione delle forme che si traduce in desiderio dell’apocalisse.




Raffaele Cavalluzzi

hunger-fassbenderCon Hunger, il suo primo magnifico e stravolgente lungometraggio, il video artist inglese Steve McQueen procura allo spettatore una netta sensazione di abissalità; e, perfino dai suoi apparenti margini, offre una chiave di lettura “religiosa” e, ad un tempo, conseguentemente immanentistica, che trova nella sua originale cifra espressiva una sorprendente conferma.

Matteo Marelli

quijoteLa storia della sua vita è la storia dei suoi libri. Alonso Quijano, ormai incapace di vivere un’esistenza al di fuori dei poemi cavallereschi, sottomesso alla propria folle visione, decide di partire alla volta di un viaggio visionario, per salvare fanciulle e combattere le iniquità. In virtù dell’epica avventura che lo attende si ribattezza Don Chisciotte della Mancia.

Raffaele Cavalluzzi

diaz-filmPrima di passare a identificare la qualità specifica della struttura di questo film, che ne fa uno dei prodotti più interessanti della cinematografia italiana di questi ultimi tempi, è bene sgombrare il campo da qualche equivoco che si è addensato sul confronto critico-giornalistico che ha accompagnato la sua uscita. È stato dunque registrato da non pochi che il film non mette in chiaro le responsabilità politiche (salvo una fugace immagine di una famigerata conferenza-stampa di Berlusconi) nei fatti di Genova 2001 e nei crudi episodi del massacro della Diaz e delle torture della caserma di Bolzaneto.

Michele Sardone

Michele Sardone

fanteriaAlessio Di Zio sembra soddisfare l'idea romantica che comunemente si ha del talento: folgorante, sbucato da chissà dove, messo a servizio di lavori brevi e discontinui. Eppure Di Zio è maturo per una retrospettiva (nel prossimo dicembre, a cura del Cineclub Canudo, nel consueto appuntamento dedicato al cinema sperimentale di "Avvistamenti") e all'ultima Mostra di Venezia, nell'ambito della sezione collaterale Cinema Corsaro, ha presentato tre suoi cortometraggi: Fanteria Cavalleggeri, Appunti per un film su Rodolfo Valentino e Roberto Pellegrinaggio.

Sara Sagrati

Im_Still_HereFacciamocene una ragione: la metà degli italiani non va MAI al cinema. Questo il dato che emerge da una ricerca condotta da Anica lo scorso anno. Nel 2010 (l’anno di Avatar!) si sono staccati poco più di 210 milioni di biglietti, ovvero un “reddito pro capite” di due visioni, neonati compresi, in un anno. È ormai troppo tardi per piangere sul latte versato: in passato si sono commessi molti errori, soprattutto sul fronte della chiusura delle sale di prossimità che hanno impoverito il tessuto urbano, culturale ed economico, oltre ad aver impedito di “coltivare” il pubblico (vedi alla voce Francia). Ma che senso ha oggi guardare al passato, quando nel presente nemmeno l’arcinemica tv riesce a mantenere il primato sulle giovani generazioni (nonostante la resistenza dello status quo) e il mercato home video sta morendo?

Vito Attolini

lettera_da_una_sconosciutaQuando, dopo una lunga assenza dalla sua città natale, Josef von Sternberg ritornò a Vienna per un temporaneo soggiorno, scoprì una città ben diversa da quella che aveva lasciato molti anni prima, quando decise di emigrare in America. Scrisse a tal proposito, senza nascondere il suo rammarico, di aver trovato «una splendida città diventata il volgare parco dei divertimenti del mondo» per colpa di «un’armata di invasori che, deliziati da una musica carezzevole, richiedevano che la città divenisse un gigantesco cabaret». Il suo sconforto nasceva pure dall’aver constatato che i viennesi apparivano disarmati dinanzi a tale realtà, lasciando che la loro città «o piuttosto, mi dispiace dirlo, la sua carcassa» andasse «in decomposizione». Il grande regista scriveva queste parole nel 1922 in singolare disaccordo con tutto ciò che aveva fin allora (e avrebbe ancora) caratterizzato a lungo l’immagine di Vienna nel cinema, non soltanto austriaco.

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