Michele Sardone

fanteriaAlessio Di Zio sembra soddisfare l'idea romantica che comunemente si ha del talento: folgorante, sbucato da chissà dove, messo a servizio di lavori brevi e discontinui. Eppure Di Zio è maturo per una retrospettiva (nel prossimo dicembre, a cura del Cineclub Canudo, nel consueto appuntamento dedicato al cinema sperimentale di "Avvistamenti") e all'ultima Mostra di Venezia, nell'ambito della sezione collaterale Cinema Corsaro, ha presentato tre suoi cortometraggi: Fanteria Cavalleggeri, Appunti per un film su Rodolfo Valentino e Roberto Pellegrinaggio.


Fanteria Cavalleggeri
Girato in alcuni circoli ricreativi per anziani, vengono ripresi vecchietti che giocano a carte, il loro biliardo, gli oggetti e le foto di cui si circondano. Sono già evidenti due scelte formali che saranno costanti nei lavori di Di Zio: la camera fissa e l'assenza dei dialoghi.
In Fanteria Cavalleggeri in realtà i dialoghi ci sono, ma vengono restituiti come rumore in sottofondo, mormorio, a voler privilegiare l'immagine in quanto unico contenitore di senso. La camera fissa sembra voler appunto fissare meglio nella memoria il soggetto ripreso (soprattutto gli oggetti, immutabili, contemplati, quasi interrogati sul loro stare al mondo) ma c'è già l'intuizione della futilità di una simile tensione. Di Zio infatti utilizza per questo corto una videocamera rotta (che avviluppa la fotografia di una nebbiolina verde, come se l'immagine si riflettesse su uno specchio d'acqua salmastra) e per di più in VHS, supporto corruttibile al corso del tempo. Sembra esserci la consapevolezza, ancor prima di girare, che il video andrà perduto, che l'immagine non ha il potere di resistere al deperimento (come invece sembra suggerire la tecnologia digitale: ma in questo caso bisognerebbe aprire un altro discorso, quello sulla capacità umana di riuscire a contenere un'immane massa di informazioni) e viene quindi affermato il sacrosanto diritto all'oblio, a cancellare la presenza del proprio sé.
Gli anziani vengono quindi ripresi come oggetti fra gli oggetti, come immagini già passate, testimoni del paradosso ultimo che è proprio dell'umano: solo facendo un po' da parte  l'io (con una conseguente diminuzione di soggettività in favore di una liberatrice cosalità) è possibile comunicare realmente col proprio simile, con l'altro. Anche questa, sia chiaro, può essere solo un'illusione. In Fanteria "l'altro" è praticamente sovrapponibile al proprio io: sono tutti vecchi, maschi, già morti. L'unica fugace apparizione di un'alterità appare su un calendario: una bionda con le tette al vento, voluttuosa e irraggiungibile come ogni immagine desiderata deve essere.


Appunti per un film su Rodolfo Valentino
Ancora un uomo (le donne, come nei lavori di Ciprì e Maresco, sono praticamente assenti nei film di Di Zio), ancora, come in Fanteria, la descrizione della condizione di non-lavoro: ma se i vecchietti avevano presumibilmente tutti lavorato per potersi affrancare finalmente dal lavoro, qui Rodolfo Valentino (omonimo del ben più famoso) sceglie volontariamente di non lavorare. Vediamo quest'uomo corpulento, che a fatica l'inquadratura riesce a contenere, muoversi in uno spazio indefinito, non inquadrabile, che pare ora uno scantinato, poi un appartamento un po' disordinato e infine un giardino inselvatichito.
Il personaggio si desume dal suo agire: prova a dipingere, sbuffa, si esercita sulla cyclette, gironzola per il suo non-luogo: insomma, non fa nulla. Sfugge continuamente all'inquadratura, all'essere inquadrato: esemplificativa è la sequenza (in camera fissa, ovviamente) in cui viene ripreso mentre, passeggiando per lo scantinato, sembra uscire, per un giochino prospettico, dalla cornice alle sue spalle per entrare in una sorta di altra cornice data da tre stipiti senza porta e poi, continuando nel suo moto, uscire da quella cornice e infine dall'inquadratura. Attraverso il movimento sfugge di continuo, quindi, alla rappresentazione di sé, a darsi come personaggio definibile e soggetto finito: Rodolfo Valentino è un continuo divenire, continuo come il suo moto, quindi cinematograficamente perfetto ma allo stesso tempo difficile da raccontare (e non a caso il titolo reca un "Appunti", come a voler sottolineare che la forma migliore per rappresentare ciò che sfugge alla rappresentazione è quella del frammento).


Roberto Pellegrinaggio
Se in Rodolfo Valentino l'immagine risulta ritagliata in riquadri, squadrata intorno al personaggio irrappresentabile, in Roberto Pellegrinaggio viene del tutto messa a soqquadro.
Rispetto agli altri corti qui la camera si muove un po' di più, pur restando fissa la maggior parte del tempo. Il protagonista compie il suo pellegrinaggio da fermo, si muove pochissimo e quando lo fa pare girare intorno. In realtà a peregrinare è lo sguardo della camera che ciondola svogliatamente per una campagna difficilmente riconducibile a un luogo geografico. Infatti in ciascun corto di Di Zio l'ambientazione viene resa come la più anonima possibile, priva di precisi rifermenti: con il risultato di far diventare ogni luogo, nella sua rarefazione, collocabile in qualsiasi spazio, mentre i personaggi, che si muovono al suo interno, risultano dei portatori di inquietudini esistenziali.
Accade quindi che Roberto colga di sorpresa la camera e appaia acefalo, corpo de-mente con la testa fuori dall'inquadratura. Del resto egli non ha meta, non ha scopo, non ha fine perché non finito. Egli è fuori da qualsiasi trama definita a priori e da ogni possibile predeterminata finalità utilitaristica al suo agire: solo un barbaglio finale, la luce di un'auto alle sue spalle, sembra presagire la fine del suo stare al mondo come oggetto senza scopo.


Filmografia

Appunti per un film su Rodolfo Valentino (Alessio Di Zio 2012)

Fanteria Cavalleggeri (Alessio Di Zio 2011)

Roberto Pellegrinaggio (Alessio Di Zio 2011)