UZAK 19 | estate 2015

Luigi Abiusi


I dibattiti tenutisi alla Pescheria del “Festival di Pesaro” intorno all’odierna critica cinematografica e alla connotazione di novità del cinema contemporaneo, indicano un’azione (o almeno un tentativo) di rassodamento dei territori di fruizione critica del cinema (nel tempo in cui sono scomparse dalle colture, le radici, i tuberi, mentre trionfano i frutti pompati che si rivelano privi di succo, posti in cellophane sugli scaffali dei supermercati), fuori dall’egida del giudizio e dall’ingenuità e insipienza che spesso ne derivano. Si tratterebbe non di una “sospensione del giudizio” ma proprio di un annullamento del giudizio: critica come annullamento del giudizio, della gnome, in favore dell’emersione dell’enunciato (degli enunciati, anche in contraddizione).

Roberto De Gaetano


altEsistono riviste di scritture e riviste di discorsi: le prime si fondano sulla firma dell’autore indipendentemente dal tema, le seconde sulla costruzione del discorso indipendentemente dall’autore. Un modello per le riviste di “scritture” è Roland Barthes, per quelle di “discorsi” Michel Foucault.
Una rivista esiste nel gesto tracciato dal suo atto di fondazione, che viene ripreso in ogni nuovo numero, se la rivista è vitale. «Fata Morgana» ha tracciato fin dall’inizio (è nata nel 2006) il suo gesto, segnando e costruendo un nuovo campo discorsivo, definito dal rapporto fra immagini in movimento e concetti. Questi ultimi, ripresi dall’urgenza del presente, non derivano direttamente dal cinema né dall’estetica, ma dalla vita e dalle sue forme. Da L’immagine-movimento e L’immagine-tempo di Deleuze, il cinema non è più la messa in forma estetica del reale, ma è sia direttamente sia analogicamente la configurazione sensibile del mondo. E dunque pensare il cinema significa in un certo senso starne continuamente fuori (stare nel mondo) per meglio rimanerne dentro, per comprenderlo nella sua centralità inalienabile nel dare forma alla nostra esperienza.

Alessandro Cappabianca


altI grandi massacri, l’eliminazione di intere etnie, gli stermini di massa, sempre esistiti, si incontrano nel Novecento da un lato con il vertiginoso potenziamento dei mezzi tecnologici più adatti alla bisogna, dall’altro con la necessità di tener conto dell’esistenza di strumenti di testimonianza (fotografia, cinema ecc.) possibilmente da evitare.
Lo Sterminio è diventato dunque qualcosa come l’ombra, il tarlo, il lato oscuro e nascosto della Civilizzazione. Come tale, da un lato deve essere occultato, effettuato in segreto e, una volta compito, consegnato all’oblio, sottraendolo a ogni tentativo di serbarne memoria o testimonianza - dall’altro, però, può essere enfatizzato, rivendicato come opera meritoria, di sostanziale giustizia, della quale fa parte una dose imprescindibile di spietatezza. I nemici, veri o presunti, sono comunque da intimidire, da rendere inoffensivi anche con la paura.

Leonardo Gregorio


altAl cinema d’archivio, Antonio Bigini, 35 anni, ci è arrivato un po’ per caso, grazie alla casa di produzione Kiné in sodalizio con Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia. È venuta allora la scrittura del soggetto di Anita (2012), diretto da Luca Magi e ispirato al trattamento inedito di Viaggio con Anita, film mancato di Fellini, pensato e scritto con Tullio Pinelli e l’apporto di Pasolini nel 1957, portato poi sullo schermo da Monicelli vent’anni dopo (qualcosa però di molto diverso rispetto all’idea iniziale, si lamentava Fellini). Per Bigini sono arrivati poi Formato Ridotto (2012), regia condivisa con Claudio Giapponesi e Paolo Simoni (su testi di Cavazzoni, Enrico Brizzi, Emidio Clementi, Ugo Cornia e Wu Ming), e la scrittura di Vacanze al Mare (2013) al fianco di Ermanno Cavazzoni che lo ha diretto.

Gemma Adesso


altLa visione è un meccanismo? Con quale occhio crediamo di guardare, quale mondo è alla nostra altezza visiva? Se se ne percepisce il funzionamento, è forse possibile riconsiderare il valore del tempo, la sua azione lenta o accellerata sulle cose?
Partiamo dal punto di vista a noi più prossimo, quello del corpo.





Luigi Abiusi

Un equivoco condiziona l’assimilazione di Whiplash, come se il film fosse incentrato sulla musica, sul jazz (che invece è il pretesto audio-video dello svolgimento testuale, cioè un sistema tattile, contundente, fatto di cieco attrito), concentrato sull’ipostasi d’improvvisazione alla base del jazz, che sarebbe stata tradita da un palinsesto invece puntuale, quadrante. Ma il film affronta, forse anche malgrado le intenzioni di Chazelle (e secondo un fertile, lacaniano assoggettamento del soggetto), la sfasatura tra i vedenti, e tra il visto e il visibile (tra dura, puntuta, appunto quadrata refrattarietà e cose a venire, l’avvenire di Derrida, un qualche visibilio), come ipotesi di incontro (quindi politico), di allineamento, che, se verificato, crea l’enunciato, un essere al mondo come sintonia.

Raffaele Cavalluzzi

altAnime nere di Francesco Munzi (dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco) è una tragedia dai caratteri ancestrali per i luoghi e i riti evocati, i personaggi, i gesti e l’antropologia morale e familiare che la connotano, nel contesto del crimine, fermo nel tempo della società calabrese (la ’ndrangheta), a travolgere vittime e a consolidare nefasti legami.

Vanna Carlucci

In Mad Max: Fury Road non esistono traiettorie sicure, ma si cavalca col volante in mano evadendo da una forma di prigionia degli occhi. C’è il desiderio di soddisfare la sete di vedere ancora dentro luoghi desertici che sono i tanti territori del cinema, distese di nulla che smuovono continuamente la propria superficie granulosa, rompendo gli orli, sfalsando prospettive e coordinate per proiettarci in un viaggio allucinato, cioè nel cinema.

Raffaele Cavalluzzi

altIvan, il tecnico responsabile della costruzione di un gigantesco grattacielo nella grande periferia londinese, alle otto di sera lascia il cantiere e, in macchina, si dirige non a casa, dove l’attendono euforici i due figli adolescenti e la moglie per il rito familiare di un’importante partita di calcio in TV. Il film, Locke (scritto e diretto da Steven Knight, acuto sceneggiatore tra gli altri di Frears e Cronenberg, al suo secondo lungometraggio presentato fuori concorso a Venezia nel 2013), si svolge interamente nell’ora e mezza di viaggio, e tutto dentro l’auto, tramite i dialoghi telefonici in viva voce tra Ivan e gli altri personaggi del racconto.

Valentina Dell'Aquila

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Ché l cuore Questo non mi spinge questo
[...] ché l cuore Questo non mi spinge...

(Carmelo Bene)

 


 

 

 

 

Michele Sardone

Michele Sardone

Si dice che un’opera, per dirsi postmoderna, debba contenere in sé una riflessione sulla propria forma espressiva: un film deve riflettere sulla forma-cinema, un romanzo su cosa sia la narrazione, il teatro sulla rappresentazione e così via. Non ci interessa ora definire Vince Gilligan come autore postmoderno delle serie TV, ma possiamo dire che nei suoi lavori c’è, se non una riflessione, quantomeno un riferimento esplicito alle tecniche narrative della serialità.


Luigi Abiusi

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«[...] Una lucertola attraversò il mio occhio ed entrò nel bosco. Si dice che la lucertola entrò nelle foglie, che fogliò».
(Manoel De Barros)











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