Luigi Abiusi

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«[...] Una lucertola attraversò il mio occhio ed entrò nel bosco. Si dice che la lucertola entrò nelle foglie, che fogliò».
(Manoel De Barros)












Pan di Jonas Munk e Doppler di Jakob Skott (il primo chitarrista, l'altro batterista dei Causa Sui), usciti entrambi nel 2012 per l'etichetta danese El Paraiso Records, si svolgevano in estroflessa, estatica complementarietà, a costituire un habitat artificiale, esotico, anche se morfologicamente differente da uno all'altro disco: Pan in progressione verticale, corrente, tra Orca, Current e Schelling; Doppler perso in uno stallo orizzontale, sognante, che era già quello del vinile azzurro. (Le cose successive di Skott restano interessanti, tentano vie nuove, addirittura tarantiniane, come in Escape from the keep, anche se a volte farraginose, ma non sono certo quel mondo, anche ingenuo, ma flagrante, di tramonti e aurore siliconati che era Doppler).

Da qualche mese il secondo disco solista di Munk, Absorb Fabric Cascade (2015), sempre per El Paraiso, cerca di ridefinire (o solo variare) le ragioni e le occasioni del moto e delle traiettorie intraprese via via dalla morfologia musicale (in commistione di analogico e digitale), in un disco di sole tre tracce che narrano, anzi sono, l'approdo, il rigoglio, l'esplorazione. In Absorb il materiale musicale è lento allunaggio, operazione di ingresso in stratosfere, in cortine di fumo porpora; e di attracco psichedelico alla superficie (di note in ripetizione e variazione), che comporta sbuffi, scappamenti azionati da ente sintetico, cioè campionamenti che per un po' sovrastano la base, la monodia di aggancio, di collegamento. Infatti la traccia è per lo più collegamento, anche se non manca la soluzione, perché l'attesa non è delusa e quello che emerge alla fine è un paesaggio acquoreo, in fissità impressa dal linguaggio: c'è pur sempre uno spartito in partenza, che Munk, sfruttando l'endemica espansività dell'elettronica, tramuta in sostanze, magari quelle ferrose di piattaforme, passerelle comandate da cavi elettrici (les passages), sistemi atmosferici, territori. Fabric è panottico su uno di questi territori sonori che si definisce in assenza di viventi, che non siano magari uno sciame di scrosci, di libellule, veicoli a elica tra cielo e acqua. Ma è per lo più un paesaggio musicale statico, edenico: il collegamento per Munk non è stato sul vuoto, ma verso un panorama vegetativo che si schiude alla propria atmosfera densa, placidamente luccicante, dal ritornello d'organo ad acqua, che ricorda alcune cose dei Bitchin Bajas, Water Wrackets, Vibracquatic, ecc.

Ma è con Cascade che il disco diviene visibilio: c'erano stati altri viaggi in precedenza, forse il più affascinante era quello di Schelling, viaggio rigoglioso, luminoso come molti altri di Pan; ma ora Munk sperimenta l'abisso, le sue viscere, i bassi crescenti che fanno tremare la terra (in questo senso l'ascolto in vinile è fondamentale, come lo è il crepuscolo fuori) e la fanno dimenticare, essendoci ora qualcosa come l'ignoto spazio profondo a incombere. Dopo la partenza da Fabric, il galleggiamento appena fuori dall'atmosfera è constatazione del silenzio come fenomeno saliente: le accensioni sporadiche lo squarciano mimando l'impensabile nascita di senso, di aggregazione di particelle che fanno il concetto, l'immagine, il suono. Si tratta della vita (in forma) di fuochi fatui, apparizione e poi contorsione sparente di tromba: Rimbaud: «se l'ottone si desta tromba». Ma è la massa bassa il centro, che non si capisce se velocità o statico sfogo energetico nell'ignoto spazio profondo; ridda di cose accese nel terremoto (spaziale), sfacelo di cose, come la silenziosa stupefazione di Malick, il bisbigliare di Schulz o di Tommaso Landolfi nella sua orbita extraterrestre. (Così «il globo terrestre [schulziano] ribolliva di notte per quel trambusto solenne»). Reduci dagli anni-luce, i violini sono folate, certo, ma precisano le larghezze dei concerti brandeburghesi in sfumando (fino a tornare a essere fioca luce e poi silenzio: Cascade è così pura fenomenologia del silenzio), in vedendo nell'intermittenza di un'apocatastasi, anche i meccanismi dell'amore e le modificazioni della morte di Borges, perché, se il tempo è un metodo, un concetto cui non corrisponde alcuna realtà fisica, una interpretazione, perché dunque non sarebbe un metodo, un concetto, una interpretazione, anche lo spazio? L'eccesso di tempo, ancora grezzo, vacuo, non adoperato, prolungava le serate in squallidi crepuscoli. Perché i miei occhi – le notti si susseguivano nere e immense; nebulose di stelle si addensavano attorno alla terra in sciami innumerevoli e una luce violacea, foriera dell'alba, cominciava a diffondersi per l'aria, e le stelle impallidivano – avevano visto l'oggetto segreto e supposto il cui nome usurpano gli uomini ma che nessun uomo ha mai contemplato: nei neri spazi interplanetari quegli sciami si sparpagliavano variamente, seminando polvere di abisso in abisso. Sperduti negli spazi infiniti, avevamo quasi smarrito il globo terrestre sotto i piedi e disorientati, senza più direzione, pendevamo come antipodi, a testa in giù, sopra uno zenith rovesciato, e ci aggiravamo fra quegli ammassi stellari, passando il dito bagnato di saliva lungo interi anni-luce di stella in stella.


Discografia


Pan (Jonas Munk, 2012)

Doppler (Jakobb Skott, 2012)

Vibracquatic (Bitchin Bajas 2012)

Water Wrackets (Bitchin Bajas 2011)


Bibliografia

Borges J.L. (1994): L'Aleph, Feltrinelli, 1994.

De Barros M. (2014): Il libro del nulla, Oèdipus, 2014.

Landolfi T. (1993): Cancroregina, Adelphi, 1993.

Schulz B. (2011): Le Botteghe color cannella, Einaudi, 2011