Atlas

Ileana Dell'Unti, Livia Flores, Alessandra Merlo, Alessandro Focareta, Eduardo A. Russo, Giovanni Festa, Alessandro Gagliardo, Alejandra Bottinelli Wolleter


Piccolo Atlas della fine del mondo

A volte le idee e la loro forza possono portare fino alla fine del mondo. A novembre dell’anno scorso insieme ad autori che i lettori di Uzak conoscono bene (Eduardo A. Russo, Gustavo Celedón, Marina de Angelis) abbiamo organizzato un congresso, che presto è divenuto un festival di parole e visioni, nella città più a sud del mondo, Ushuaia. Partecipavano studiose e studiosi, artisti e artiste, cineasti (fra gli altri, Julio Bressane, Giovanni Cioni, Alessandro Gagliardo, Andrea Fogli) cileni, italiani, colombiani, argentini, brasiliani, portoghesi, che, dal vivo o a distanza, hanno tessuto i loro discorsi o proiettato virtualmente le immagini delle loro opere verso quei ghiacci eterni dove si era perduto Gordon Pym.

Ho chiesto loro di scattare una foto di quel mondo agli antipodi e corredare l’immagine con un breve testo. Alcuni hanno accettato l’invito.


Congreso Internacional Fronteras | Área de Antropología Visual (antropologiavisual.com.ar)
 g.f.

Luigi Abiusi

Se la Terra del Fuoco è il margine più estremo del mondo (terso, gelido, quasi evanescente all'orizzonte, come un miraggio fatto, sfatto d'aria glaciale, congelante, anziché da quella incandescente del deserto: da lì, dal Congreso International Fronteras, dalla città più a sud del mondo, Ushuaia, Giovanni Festa con il suo manipolo di detective selvaggi, scrittori sudamericani, pionieri della parola e dell'immagine, ha trasmesso la manciata di fotografie e testi nati dal limite ultimo, come una faglia, una ferita aperta nel suolo da cui esalino gli umori, i fondigli immaginali), magari la provincia italiana, nel pieno dell'occidente, ne è un qualche inizio (benché corrotto dal progresso, dalla selvaggia economizzazione delle esistenze), almeno dal mio punto di vista, il territorio che ho intorno; o altrimenti l'intermezzo, l'estremo intermezzo in cui, in mezzo alla turpe spoliazione del simbolico intrinseco alle cose da parte della “cultura” contemporanea, sopravvivono retaggi di un altro tempo, di epoche rurali, forse anche ancestrali, appunto la materia del simbolo.

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