Leonardo Gregorio e Michele Sardone
Autore apolide di un cinema personale, visionario, che della forma ha fatto racconto e viceversa. Per diciassette anni ha spento la macchina da presa e si è dedicato alla pittura; è tornato poi con Quattro notti con Anna (2008). Il primo atto di “Registi fuori dagli scheRmi V” è stato nel segno di Jerzy Skolimowski e del suo cinema. In particolare, dei suoi ultimi due lungometraggi: dalla lotta per la sopravvivenza di Essential Killing (2010), al grottesco messo in catastrofe in 11 Minutes (2015), presentato il 25 febbraio scorso al Cineporto di Bari in presenza del regista.
Vanna Carlucci
Antonia Pozzi, Antonia. Corpo esile «in cuore all’azzurro» (Pozzi 2014, p. 46), corpo nudo, parola bianca. Questa è l’Antonia di Ferdinando Cito Filomarino, un profilo che si materializza e nuota negli spazi che la circondano, nuota e vive nel corpo alato delle pagine, nel vuoto saturo delle sue stanze (liriche) e uno sguardo arrampicato a una vita che trema. Chi era Antonia Pozzi? «Una scìa di silenzio/ in mezzo alle voci» (ibidem), poetessa che (non) si colloca, ma che vive «sul greto, tra i cespugli» (ivi, p. 37), voce fuori dal coro del suo contesto storico, letterario eppure così presente da scavalcarlo, il tempo . Incontriamo il regista Ferdinando Cito Filomarino in occasione della rassegna barese “Registi fuori dagli sche(r)mi”.
Leonardo Gregorio e Matteo Marelli
Forse il mistero del suo cinema non lo conosce neanche lui davvero, o semplicemente non vuole raccontarlo. Sa, però, dove quel cinema sta andando. Pedro Costa e il suo Cavalo Dinheiro per “Registi fuori dagli sche(r)mi” V. Abbiamo incontrato in albergo il regista portoghese, poche ore prima della serata al Cineporto di Bari.
Luigi Abiusi
Nel crocevia, grumo di contraddizioni, tra civismo e recrudescenza dei nazismi, che è l’Europa oggi, fanno la loro comparsa opere documentarie che spesso trascendono il documentario, aumentando proprio in virtù di questo falso scavalcamento, il portato di “verità” del filmato. È inutile richiamare ancora Rosi o Minervini, per restare all’Italia. Ora, uno dei documentaristi più rigorosi che si esprimono in questo ambito è sicuramente Marco Santarelli, che in Dustur affronta la questione dei diritti umani, tra identità religiosa e giurismo, discussa proprio da chi lo ha violato “il diritto”, e di chi lo fa (o lo farebbe) in nome di dettami religiosi (spesso fraintesi). La voce è quella di musulmani in carcere, in quello Dozza di Bologna, in contrappunto al ragionamento dossettiano, cristiano di Ignazio, fino a che non vi converge anche il sofferto dettato di Samad, rientrato alla Dozza da uomo libero.
Qui una conversazione con Marco Santarelli e, in epilogo, Roberto Silvestri, in occasione della proiezione barese di Dustur per “Registi fuori degli sche(r)mi”.