Alle rive dello Scamandro

Durante il tragitto che li avrebbe condotti lontano dall'Ade, Orfeo si sarebbe voltato soltanto sulla soglia del mondo dei vivi, secondo il mito, convinto che anche Euridice fosse ormai del tutto fuori. Si sarebbe potuto fermare lì per un momento, ancora in piedi, timoroso, le viscere che gli si contorcevano per l'impazienza, la felicità per le prove d'amore superate, con lo sguardo e il pensiero rivolti al futuro così tanto atteso; avrebbe potuto attendere un cenno di lei, un tocco anche debole che l'avrebbe fatto rinsavire, dimostrandogli la realtà della presenza, o meglio, dell'esistenza di Euridice. E non soltanto l'illusione. Ma Orfeo ha "egoisticamenente" scelto per sé e per l'altro, assorbendone il destino e, come afferma Marianne in Ritratto della giovane in fiamme, volendo conservare il ricordo di un amore che non avrebbe mai più subito i rivolgimenti del tempo.

Sciamma opera però uno stacco rispetto al mito, poiché è finalmente Euridice, incarnata dalla turbinosa Heloise, a prendere la parola, richiamando l'attenzione di Marianne, poco prima di salutarsi per sempre, con addosso quel funereo abito bianco che abitava le allucinazioni della pittrice, ordinandole, lei stessa, di voltarsi. Di lasciarla andare nel corpo, nelle «curve de fianchi» e nel «niente del costato» ritratti, divenuta immagine, e quindi pienamente immortale. In Ritratto della giovane in fiamme, i primi tentativi di Marianne nel ritrarre Heloise risultano fallimentari: non riesce a coglierne il sorriso né a marcarne i lineamenti, tutto le sembra una menzogna, una maniera di osservare fredda e distaccata, e alla fine, nonostante la riuscita del dipinto, il più autentico sarà quello che si vede all'inizio del film, Portrait de la jeune fille en feu, che somiglia tanto a quadro di Friedrich, con Heloise minuta, al centro del dipinto e con le pieghe del vestito che bruciano, colta nella sua verità e indefinitezza, e intorno il buio, il cielo e mare bretoni, complementari al disvelarsi del sentimento.

Partendo dalla ridefinizione del mito, passando poi per un'efficace decostruzione di un immaginario, quello maschile ed eterosessuale, la scrittura di Céline Sciamma si configura come una pratica politica di creazione di un universo alternativo, o di un cinema alternativo che apre possibilità di coalizioni e alleanze inaspettate, come lei stessa dichiara, creando a partire dalla propria soggettività di donna, dalla differenza della propria esperienza; o ancora, da una sostanziale unicità nel modo di guardare ed essere guardati, risultando, in un certo senso, il contraltare di un altro film costruito sull'atto contemplativo, Mademoiselle di Park Chan-wook, in cui l'atto del guardare viene però filtrato una prospettiva interamente maschile (sia dal punto di vista dei personaggi che del regista) e soverchiante, da uno sguardo tentacolare che non può fare a meno di consumare l'altro, inglobandone l'individualità e confini.

Nel film della Sciamma si assiste invece a una situazione inversa, in cui il soggetto del ritratto, chi si sta spogliando nei più intimi caratteri, diviene co-creatore, co-creatrice, in questo caso, dell'opera stessa, musa attiva nella riappropriazione e rimodulazione del processo creativo che non è più unilaterale, anzi partecipato attivamente da entrambi le parti. Viene in mente il quadro Pygmalion del surrealista Paul Delvaux, per un'altra variazione operata sul mito: non è il pittore che, innamoratosi della sua statua l'abbraccia, dandole vita, ma è una donna che circuisce una statua maschile striminzita. Non è più la donna a fungere da musa né oggetto su cui plasmare le fantasie di un qualsivoglia Pigmalione. La donna è questa volta il soggetto creante, unico riverbero di desideri e volontà.

Nell'epoca del femminismo estremamente rabbioso e dirompente, «postumanista e ipervelocizzato», come lo definisce la filosofa Rosi Braidotti, caratterizzato da una miscellanea di linguaggi, forme, soggettività e identità plurime, intersezionale, appunto, in Ritratto della giovane in fiamme Sciamma circoscrive un luogo in cui si ricostituisce un possibile "noi" alternativo ad una specifica narrazione (e storia) sottraendosi, così, all'immagine di una donna e di una "femminilità" create a uso e consumo di un solo sesso: un laboratorio utopico, di vita, simboleggiato dal canto intonato dalle donne intorno al fuoco ("Non possum fugere..."), nel cui oscuro presente si cerca di far avanzare il futuro - da non dimenticare la dedica della regista francese a tutte le donne della storia dell'arte che non potevano in nessun modo emergere - tenendo in piedi un impulso: un sogno.

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