«La Storia è isterica: essa prende forma solo se la si guarda – e per guardarla bisogna esserne esclusi».
R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia.
L’isterismo della Storia, che Roland Barthes slegava dallo sguardo, ma da uno sguardo che pure è affrancato dall’appartenenza, come se soltanto nel non-luogo del distacco ci fosse la forma vera delle cose, la loro dinamica, muove dagli occhi, dalla voragine delle pupille dilatate: a patto di restare lontani, esclusi appunto dalla trama degli accadimenti, per essere trafitti dalla visione, e inondati da pezzi di mondi, da pezzi di vite e pezzi di sguardi. Sulla stessa linea palpitante, intensamente straniante procede, tratto a tratto, infranto e ricomposto dagli ingranaggi del montaggio, Le livre d’image, che è ancora una volta – e forse, adesso, ancora di più – discorso sul Cinema, se non domanda su quale ruolo abbia il cinema nelle innumerevoli possibilità d’essere (d’esserci) nel fulgore lacerante del reale.