327 Quaderni

Jean-Luc Godard suggeriva in un'intervista la maniera in cui un giovane aspirante cineasta potrebbe girare un film: dovrebbe limitarsi a raccontare un giorno della sua vita che, aggiunge ingannevolmente, è quello che James Joyce fece con l'Ulisse. Questa battuta dell'artista ammirato da Ricardo Piglia, fa luce anche sul pensiero dello scrittore e critico argentino.

Se il monumentale Histoire (s) du cinéma (1988-1998) è stato paragonato a Finnegan's Wake (da Jonathan Rosenbaum), sarebbe legittimo confrontare i diari che Piglia ha scritto durante tutta l'arco della sua esistenza con quella serie di video: entrambi rispondono alla richiesta di montare tutto, registrare tutto (la storia del cinema; la storia di una vita). Il rapporto tra l'autore di I diari di Emilio Renzi e il regista franco-svizzero deve essere preso sul serio: Piglia si è sentito diviso per tutta la vita tra ciò che viene convenzionalmente chiamato "romanzo" e ciò che viene chiamato "saggio" e si interessò al modo in cui Godard mescolava critica e teoria con i generi narrativi, e, dal canto suo, cercava di lavorare con "argomenti" nel doppio senso della parola - cioè, con storie e con ragionamenti -, che nei suoi diari  subordinò ad una "logica formale cronologica”(I diari di Emilio Renzi. Gli anni felici, p. 357). Sebbene siano creazioni uniche (Godard non è mai stato esattamente un romanziere e Piglia non ha mai diretto film), la loro associazione stabilisce alcuni punti di contatto proprio quando si pensa a un (im) possibile adattamento cinematografico del diario dello scrittore. Si pensi, per esempio, a quella che sembra essere una delle varie citazioni senza virgolette di Le Livre d’image (Godard, 2018):

«Ho bisogno di un'intera giornata per raccontare la storia per un secondo. Ho bisogno di un anno per fare la storia di un minuto. Ho bisogno di una vita per la storia di un'ora. Ho bisogno dell'eternità per la storia di un giorno». 

In questo senso, la durata dell'opera come problema insormontabile si fa evidente in 327 quaderni (2015) di Andrés Di Tella: se il regista argentino (si) chiede - forse è una falsa domanda - come filmare i diari di uno scrittore, lo stesso mezzo audiovisivo, come risposta a questa domanda, è estremamente breve. Quando si tratta di opere di lunga durata, che non hanno fine, che durano l'intera la vita di chi le crea (Forme brevi, p. 96), diventa inevitabile pensare all'arte come un'eccezione (Je vous salue, Sarajevo, Godard , 1993), al di fuori delle richieste poste dai diversi media, che esistono solo negli usi sociali della loro storia. Tuttavia, considerato in questo modo, il diario appare come un sottogenere nel cinema (e nella letteratura). In entrambi i mezzi di espressione si tratta di un genere minore, sebbene esistano importanti casi cinematografici (Mekas) e letterari (Gombrowicz, Kafka, Pavese, Brecht, per citare alcuni dei diari sui quali Piglia ritorna costantemente). In questa condizione minoritaria è necessario sottolineare la lateralità del genere cinematografico rispetto al suo doppio letterario: non esistono numerosi diari filmati e se alcuni dei più grandi scrittori scrivevano diari, questa situazione non ha eguali nel cinema. Il documentario di Di Tella sembra ispirato meno ai diari di Piglia che al diario filmato di Enrique Amorim, un magnifico cortometraggio muto (in cui si vede Borges nel periodo in cui scriveva Tlön, Uqbar, Orbis, Tertius).

Lo stesso giorno in cui fu pubblicato il primo dei tre volumi de I diari di Emilio Renzi, uscì nelle sale 327 quaderni. La circolazione di queste opere, originalmente simultanee, è immediatamente sfasata in proporzione alla velocità che ciascuna di esse postula. Ancora una volta, non è solo una differenza tra i media (l'istantaneità dell'immagine in contrapposizione alla lentezza della lettura), quanto la singolarità delle opere: un mediometraggio, in un caso; un libro di oltre trecento pagine, per un totale di mille pagine nell'edizione originale in tre volumi, nell'altra. Infine, il documentario di Di Tella, a differenza del suo Macedonio Fernández (1995), che vede anche la partecipazione di Piglia, non riesce a superare un problema che si ripete in diversi film del cinema argentino e che consiste nella capacità di produrre immagini o utilizzare archivi per illustrare o servire da contrappunto a un testo già disponibile. È una questione di immaginazione, ma anche, e soprattutto, di montaggio. Si tratta di un tema particolarmente significativo per il lavoro di Piglia (con le sue molteplici ripetizioni e variazioni), che ha fatto riferimento più volte al modello, per la scrittura, della musica jazz e dell'improvvisazione sopra uno standard (La forma iniziale; I diari di Emilio Renzi).

Si prenda come esempio di questa debolezza il momento del documentario in cui Di Tella proietta alcune immagini d'archivio (che include nella versione finale) mentre Piglia dice "guarda che non sono lì", differenziando ironicamente la sua visione da quella del suo amico regista. Se la stesura del diario ha fissato grammaticalmente l'esperienza del suo autore, l' "archivio trovato" ha catturato solo in modo indiziale l'esperienza di altre persone (sconosciute): si tratta di due forme documentarie molto diverse. Il lavoro di Di Tella crea rapporti vaghi tra testo e immagine (usa filmati che sono preziosi in termini storici, ma che non sono così importanti per Piglia). Per questo l'attrazione principale del documentario è vedere lo scrittore (ri) leggere i suoi diari, in quel momento ancora inediti, o la scena in cui, incapace di scrivere a causa della malattia, detta un passaggio da questi alla sua musa messicana che li trascrive. Il punto più alto del documentario è, forse, l'esitazione di Piglia quando contempla la possibilità che l'opera di tutta una vita porti il nome del suo alter-ego, Emilio Renzi.



Pensiero

La presenza di Borges in televisione cristallizza un momento importante del legame tra tradizione, maestri e mass media elettronici, in una sorta di preludio alla web futura. Sulla scia dell'apparizione dei grandi scrittori nei media di comunicazione di massa, non bisogna dimenticare la partecipazione del creatore di Emilio Renzi ad un insolito programma televisivo sperimentale diretto da Jorge La Ferla (Delirio y Poder / Ricardo Piglia), in cui espone pensieri su letteratura e potere, in una conversazione con Alan Pauls e Matilde Sánchez, su uno sfondo di immagini tratte da film rimontati (che vanno da Il Processo a La Passione di Giovanna d’Arco, da Il Grande dittatore a Metropolis, ecc.). Basandosi su letture di Walter Benajamin, Piglia riflette su un'arte mediatica (come i suoi contemporanei Oscar Masotta e Roberto Jacoby, che praticavano la desmaterializzazione dell'arte e del pensiero), differenziando, però, la sua scrittura dall'arte concettuale delle avanguardie degli anni sessanta. Come il filosofo Gilles Deleuze in L'Abécédaire  (programma prodotto nel 1988-1989 e trasmesso nel 1996), l'autore di Formas breves, come scrittore d'avanguardia, non crea direttamente attraverso i media televisivi come farebbe un regista o un videoartista, ma lavora all'interno del medium: nel programma Borges per Piglia (2014), una serie di quattro lezioni per la televisione pubblica, Piglia mostra, nel suo momento più alto, un pensiero che era andato elaborando durante tutta una vita (L'ultimo lettore; I diari di Emilio Renzi).

Gli interventi pubblici di Piglia su Borges, con le loro rispettive invenzioni concettuali, sono paragonabili alla lezione di Deleuze Qual è l'atto della creazione? (1987). In quest'ultima, il filosofo francese ha profetizzato chiaramente, tra gli altri fenomeni tipici delle società di controllo, un cambiamento nel regime del pensiero, il passaggio dall'aula all'ubiquo schermo video, che avrebbe funzionato come una forma di resistenza alla demagogia e alla banalizzazione generalizzata della diffusione della conoscenza, che sarebbe diventata tipica del momento storico nel quale si stava entrando. In entrambi i casi si tratta di un pensiero in atto, registrato, di eventi catturati in immagini e suoni.

All'inizio de ABC per la televisione, scherzando la sua intervistatrice Claire Parnet, Deleuze parla delle circostanze che lo hanno condotto alla registrazione del programma televisivo e del fatto che, sebbene era inconcepibile che rispondesse ad una domanda senza pensarci, era protetto da una clausola che specificava che il materiale sarebbe stato usato solo dopo la sua morte; "Ridotto allo stato di puro spirito, parlava già nel dopo morte - dice il filosofo - in un modo un poco vago". Il dualismo tra pensiero - come pura manifestazione dello spirito - e il corpo - come alienazione - costituisce un tema ricorrente nella storia personale di Piglia, approfondito verso la fine della sua vita a causa della grave malattia che lo colpì (sclerosi laterale amiotrofica): "Ho la sensazione che il mio corpo non mi obbedisca, che io sia sano, lucido, ma che il mio corpo sia danneggiato ”(I diari di Emilio Renzi. I., p. 344). Il suo diario è pieno di segni premonitori della malattia. In una pagina del primo volume, che corrisponde all'anno 1960, si legge  "Dovrei possedere la facoltà magica che quando penso a qualcosa, si scrive da sola" (p. 85). E nel "Note dell'autore", che si trova alla fine dei Casi del Commissario Croce, uno dei suoi ultimi libri, Piglia ha scritto:

«Ho scritto questo libro usando Tobii, un hardware che ti permette di scrivere con gli occhi. In realtà sembra una macchina telepatica. Il lettore interessato sarà in grado di verificare se il mio stile ha subito modifiche. Ho scritto altri miei libri a mano o a macchina (con una Olivetti Lettera 22 che possiedo ancora). A partire dal 1990, ho usato un computer Macintosh. Mi ha sempre interessato capire se gli strumenti tecnici possono lasciare un segno nella letteratura. Cosa cambia e come? Lascio la questione aperta». (p. 183)

Nell'ultima parte della sua trilogia, tornando ad una metafora che aveva già usato in un saggio giovanile dedicato a Ezequiel Martínez Estrada, Piglia sottolinea la natura distruttiva della lingua argentina come causa della sua condizione: "Il disturbo che mi affligge è direttamente correlato agli anni che ho trascorso sotto la luce zenitale e mortale della grammatica nazionale" (pagg. 159-160). Il diario si conclude prima della morte del suo autore, Ricardo Pilglia, l’uomo che aveva puntato tutto sulla letteratura.



Passages dei Diari di Emilio Renzi

«Questa edizione dei suoi diari è stata divisa in tre volumi: I. Anni di formazione, II. Gli anni felici III. Un giorno nella vita Si basa sulla trascrizione dei diari scritti tra il 1957 e il 2015 (…)» (I diari di Emilio Renzi. I. Anni di formazione, p. 12).

«Aveva iniziato a scrivere un diario alla fine del 1957 e lo stava ancora scrivendo. Molte cose sono cambiate da allora, ma è rimasto fedele a quella sua mania. (...) Tuttavia, è convinto che se non avesse iniziato, un pomeriggio, a scriverlo, non avrebbe mai potuto scrivere nient'altro. Ha pubblicato alcuni libri - e forse ne pubblicherà altri - solo per giustificare quella scrittura (...)». (I diari di Emilio Renzi. I., p. 11)

«Per coloro che si interessano a questi dettagli, insiste nel sottolineare che le note e le sezioni di questi diari occupano 327 quaderni, i primi cinque sono quaderni della marca Triunfo e il resto sono quaderni con copertina nera che non si trovano più e che si chiamavano Congresso. "Le pagine erano una superficie leggera che mi ha portato a scriverci per anni, attratto dal loro candore alterato solo dall'elegante serie di linee blu che invocavano alla prosa e al fraseggio, come se fosse un pentagramma musicale o la lavagna meravigliosa di cui parlava Sigmund Freud", disse». (I diari di Emilio Renzi. I., p. 12).

«Anche a me soggioga la presenza di un narratore che osserva gli eventi, coinvolto a distanza (come in Henry James, Conrad e Fitzgerald): vorrei che fosse l'autore di questi quaderni; con uno stile chiaro ed efficace enumera i fatti della mia vita, dall'esterno, e potrà esistere grazie ai riferimenti ambigui dei miei amici che parleranno anche di lui (quando si riferiscono a me)» (I diari di Emilio Renzi. I., p. 281).

«La difficoltà a scrivere sinceramente in questi quaderni deriva dalla mancanza di una costruzione deliberata, che è sia una virtù che il senso di un diario. Dal momento che non credo nella spontaneità o nella sincerità, è chiaro però che questo diario non sarà altra cosa che appunti, note, un modo di stare al di sopra di me stesso, lasciando dati con cui ricostruire, in seguito, determinati periodi, determinati stati. Quindi ciò di cui hanno bisogno non è "più letteratura" ma più velocità, più visione istantanea. Ciò che conta è cercare quei toni, provarli, scrivere "allo scorrere della penna"» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 54).

«Sto pensando allo pseudonimo e al doppio come a un mezzo non fisico di suicidio. Perdersi in un'altra identità, sdoppiarsi, permette che qualcun altro faccia il lavoro sporco (per te). I due si rifanno all'enigma. In un certo senso, si ottiene che il doppio malvagio sia il nostro stesso io e che il male o la vergogna vengano narrati come qualcosa di personale. Risoluzione grammaticale del suicidio. (Torna a questo). La questione del doppio verbale (il falso nome), due nomi, due affermazioni.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 114).

«Il diario è come un sogno, tutto ciò che accade è vero ma accade in un registro così condensato, così carico di incomprensioni, che solo lo scrittore può capire quello che scrive.» (I diari di Emilio Renzi. II., pp. 121-122).

«È difficile per me - è evidente - trovare un tono per questi quaderni, ma è esattamente quello che mi piace di loro: la prosa è spontanea e veloce, quindi molto mutevole, non c'è una retorica comune. La cosa migliore è la continuità, la persistenza, che sono la grande sfida della narrazione. Appare anche un tratto comune in tutto ciò che faccio: non mi concentro su un punto, piuttosto mi disperdo lasciandomi trascinare dall'impulso di ciò che sto scrivendo. L'estensione si verifica in me per accumulazione: non dando tempo alla scrittura, non costruendo un tema fino alla fine, i motivi riappaiono ma non si sviluppano. L'unica cosa che sono stato in grado di fare l'ho fatta nel momento puro, senza futuro, il futuro per me è sempre stato una minaccia.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 156).

«Un nucleo di base che si irradia in direzioni multiple, tutte le mie fantasie si sono trasformate nei diversi livelli di uno stesso racconto. Un delirio di narratività, centinaia di piccoli nuclei aneddotici, scene, situazioni, una microscopia di tempo e memoria. Un diario.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 164).

«Penso al grande tema della mia vita: l'uomo solo (ciò che vede, ciò che può vedere, come pensa, etc.) come base della condizione di scrittura di questo diario. Poi, l'illusione di trovare una forma individuale e una lingua privata. Questo stile, se esiste, non ha un destinatario, quindi nulla di ciò che è noto dovrebbe essere detto. La prosa tende al presente e alla descrizione, è una esteriorizzazione radicale di chi scrive - il soggetto immaginario, o meglio, lo scrittore concettuale - nel suo rapporto con il linguaggio come materia propria. Un oggetto che tende al non detto, al laconismo psicotico (la prosa sembra così) e alla non comunicazione ermetica.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 220).

«Un diario è il laboratorio di letteratura, ma in questo caso lo scrittore si mette alla prova davanti a sé stesso.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 242).

«Com'è stato possibile che, nel 1969, quando ho iniziato a trascrivere i quaderni, non mi sono accorto che lì dentro c'era il romanzo che volevo scrivere? (E ora cos'è quello che non vedo?)». (I diari di Emilio Renzi. II., p. 373). 

«Materiali veri, dizione delirante.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 374).

«Sempre più interessato al progetto di scrivere, a partire dal diario, un romanzo educativo (sentimentale). "Senza accorgermene" vengo osservando, nei diari, il narratore che ho sempre cercato: furioso, ironico, disperato, ellittico. Viene da qui il tono di un protagonista che non sono io. Non esiste un'autobiografia per confermare che chi scrive non è chi è.» (I diari di Emilio Renzi. II. p. 377).

«In questi quaderni devo rispettare una legge: non scrivere mai testi lunghi. Tutto ciò che dico deve contenere meno di trecento parole. Storie, ricordi, letture, riflessioni, incontri: è necessario scoprire come sintetizzare e concentrarsi; il diario è una raffinata catena a maglie, come la catena che mio nonno Emilio teneva per l'orologio da tasca.» (I diari di Emilio Renzi. II., p. 411).

«La vita non dovrebbe essere vista come una continuità organica, ma come un collage di emozioni contraddittorie, che non obbediscono in alcun modo alla logica di causa ed effetto: in nessun modo, tornò a dire Renzi, c'è progressione e ovviamente non c'è progresso, nessuno impara nulla dalla propria esperienza, a meno che non abbia preso la precauzione, un poco folle e ingiustificata, di scrivere e descrivere la successione dei giorni perché poi, in futuro - e niente più che in futuro - brillerà come un falò sul campo, o meglio, brucerà, in quelle pagine, il significato. L'unità è sempre retrospettiva, nel presente tutto è intensità e confusione, ma se guardiamo al presente quando è già passato e ci sistemiamo nel futuro per vedere di nuovo quello che abbiamo vissuto, allora, secondo Renzi, qualcosa si chiariva.» (I diari di Emilio Renzi. III. Un giorno nella vita, p. 11).

«Come puoi vedere, questo quaderno avanza perché invariabilmente vi scrivo una serie di motivi che chiamerò musicali, una melodia, un ritornello in cui si ripete sempre la stessa cosa ma in un altro registro. Il cambiamento più visibile è cronologico: scrivo la medesima cosa, diciamo, ma lo faccio in giorni successivi, cioè secondo una continuità nella ripetizione. Non saprò mai se tutto questo è una narrazione, cioè una serie articolata di eventi; in tal caso, l'unico modo per verificarlo sarebbe leggere tutte queste note secondo una sequenza lineare.» (I diari di Emilio Renzi. III., p. 55).

«Sarò mai in grado di fare, di questi quaderni <<neri>>, un laboratorio della mia stessa vita? Tracce, citazioni, esperienze, finzioni brevi.» (I diari di Emilio Renzi. III., p. 79).

«Trascrivere il diario sarebbe la mia versione di Alla ricerca del tempo perduto.» (I diari di Emilio Renzi. III., p. 154).



Nota per il lettore

Per realizzare questo scritto, ho consultato numerosi libri di Ricardo Piglia. Il lettore esperto riconoscerà, nel corpo del testo, alcune delle sue "illuminazioni". In ogni caso, quello che mi interessa, piuttosto che l'esercizio sterile dell'erudizione, è fare riferimento ad opere preziose come Crítica y ficción (1986), Formas breves (1999), Antología personal (2014), La forma inicial (2015), e, naturalmente, Los diarios de Emilio Renzi (2015; 2016; 2017) che contiene il germe di idee più vaste che si sarebbero andate sviluppando nella narrativa e nei volumi critici dello scrittore. Nell'ultima sezione ho deciso di utilizzare una procedura di montaggio di citazioni, un mosaico di frammenti dei tratti dalle numerose voci (una quarantina di pagine) dedicate al tema del diario e della sua scrittura, per esporre una visione di questo capolavoro. Nel resto dello scritto, ho cercato di utilizzare un numero minore di citazioni, poiché il lavoro di Piglia funziona più in estensione che in condensazione (come poetica).






Testo originale



Ricardo Piglia. Imágenes de un escritor situado en la frontera psíquica de la realidad

Por Rodrigo Sebastián

 

327 cuadernos 

 Jean-Luc Godard comentó en una entrevista la manera en que un joven aspirante a cineasta podría hacer una película si dispusiera de una cámara: sólo haría falta que cuente un día de su vida, eso, agregó engañosamente, es lo que hizo James Joyce en su Ulysses. Esta boutade del artista admirado por Ricardo Piglia, arroja luz sobre el pensamiento del escritor y crítico argentino. Si la monumental Histoire(s) du cinéma (1988-1998) fue comparada con el Finnegan’s Wake (por Jonathan Rosenbaum), sería lícito comparar los diarios que Piglia escribió durante toda su vida con aquella serie de videos: ambas responden a la pretensión de ponerlo todo en ellas (la historia del cine; la historia de una vida). La relación entre el autor de Los diarios de Emilio Renzi y el cineasta franco suizo debe tomarse seriamente: si el último se consideró dividido toda su vida entre lo que convencionalmente se llama novela y lo que convencionalmente se llama ensayo, Piglia se interesó por la manera en la que Godard mezcló la crítica y la teoría con los géneros narrativos, e intentó trabajar con argumentos en el doble sentido de la palabra -es decir, con historias y también con razonamientos-, que en sus cuadernos supeditó a una “lógica formal cronológica” (Los diarios de Emilio Renzi. Los años felices, p. 357). Si bien son creaciones singulares (Godard nunca fue un escritor y Piglia no dirigió films), su asociación establece algunos puntos de referencia a la hora de pensar una (im)posible adaptación cinematográfica del diario del escritor. Piénsese, por ejemplo, en la que aparentemente es una de las múltiples citas sin comillas de Le Livre d’image (Godard, 2018): 

Necesito un día entero para contar la historia de un segundo. Necesito un año para hacer la historia de un minuto. Necesito una vida para la historia de una hora. Necesito la eternidad para la historia de un día

En este sentido, la duración de la obra como problema insalvable se hace patente en 327 cuadernos (2015) de Andrés Di Tella: si el cineasta argentino (se) pregunta -acaso se trate de una falsa pregunta- en la banda sonora cómo filmar los diarios de un escritor, el propio audiovisual, como respuesta a ese interrogante, es en extremo breve.

Cuando se trata de obras de larga duración, que no tienen fin, que duran lo que dura la vida del que las hace (Formas breves, p. 96), se hace inevitable pensar el arte como excepción (Je vous salue, Sarajevo, Godard, 1993), por fuera de ciertas exigencias planteadas a los diferentes medios, que no existen sino en los usos sociales de su historia. Sin embargo, considerado de esta manera, el diario aparece entonces como subgénero en el cine y en la literatura. En ambos medios de expresión es un género menor, aunque existan célebres exponentes cinematográficos (Mekas) y literarios (Gombrowicz, Kafka, Pavese, Brecht, por citar algunos de los diarios a los que Piglia volvió constantemente). Pero en esa condición menor es necesario señalar la lateralidad del género cinematográfico en relación con su doble literario: no hay tantos diarios filmados; algunos de los más grandes escritores llevaron diarios, una situación que no tiene parangón en el cine. El documental de Di Tella parece inspirarse menos en los diarios de Piglia que en el diario filmado de Enrique Amorim, magnífico cortometraje silente que cita (en el que se va a Borges por los días en los que escribía Tlön, Uqbar, Orbis, Tertius).

El mismo día que salió al mercado el primero de los tres tomos de Los diarios de Emilio Renzi se estrenó 327 cuadernos. La circulación de estas obras, originalmente simultánea, se ve inmediatamente desfasada de manera proporcional a la velocidad que postula cada una. Nuevamente, no se trata sólo de una diferencia entre medios (la instantaneidad de la imagen opuesta a la lentitud de la lectura), sino de la singularidad de las obras: un mediometraje, en un caso; un libro de más de trescientas páginas -un total de mil páginas en la edición original en tres partes-, en el otro. 

Por último, el documental de Di Tella, a diferencia de su Macedonio Fernández (1995) -que también incluye la participación de Piglia-, no consigue sortear un problema que se repite en varias películas del cine argentino y que consiste en la capacidad de producir imágenes o de utilizar archivos para ilustrar/servir de contrapunto a un texto ya disponible. Es una cuestión de imaginación, pero también de montaje. Y es un tema especialmente significativo para la obra de Piglia (con sus repeticiones y variaciones múltiples), quien se ha referido a la música jazz como modelo, para la escritura, de improvisación sobre un estándar (La forma inicial; Los diarios de Emilio Renzi). Tómense como ejemplo de la falla señalada el momento del documental en el que Di Tella proyecta unas imágenes de archivo (que incluirá en la versión final) para el escritor y este le dice “mirá que yo no estoy ahí”, diferenciando con ironía su visión de la de su amigo cineasta. Si la escritura del diario ha fijado gramaticalmente la experiencia de su autor, el archivo encontrado ha capturado de manera indicial la experiencia de otras personas (desconocidas); son dos formas documentales muy diferentes. La obra de Di Tella compone así vagas relaciones entre el texto y la imagen (utiliza filmaciones valiosas en términos históricos, pero que no lo son tanto para Piglia). Por eso el mayor atractivo del documental es ver al escritor (re)leyendo sus diarios, en ese momento inéditos. O la escena en que el autor de los diarios, imposibilitado para escribir a causa de una afección, dicta un pasaje de estos a su musa mexicana que los transcribe. El momento más alto del documental quizás sea la vacilación de Piglia cuando contempla la posibilidad de que la obra de su vida lleve el nombre de Emilio Renzi. 



Pensamiento

La presencia de Borges en la televisión cristaliza un momento importante del nexo entre la tradición, los maestros y los mass media electrónicos, que podría considerarse como una suerte de antesala de la web futura. En la línea de la comparecencia de los grandes escritores en los medios de comunicación no debe olvidarse la participación del creador de Emilio Renzi en un raro programa de televisión experimental dirigido por Jorge La Ferla (Delirio y Poder / Ricardo Piglia), en el que expuso ciertos argumentos sobre literatura y poder, en conversación con Alan Pauls y Matilde Sánchez, sobre un fondo de imágenes de films incrustadas (que iban de The trial a La Passion de Jeanne d'Arc, de The Great Dictator a Metropolis, etc.). 

Basándose en sus lecturas de Walter Benajmin, Piglia reflexionó acerca de un arte de los medios, como sus contemporáneos Oscar Masotta y Roberto Jacoby -quienes practicaron la desmaterialización del arte y del pensamiento-. Pero diferenció su escritura del arte conceptual propio de la vanguardia porteña sesentista.

Al igual que el filósofo francés en L’Abécédaire de Gilles Deleuze (programa producido en 1988-1989, emitido en 1996), el autor de Formas breves, en tanto escritor vanguardista, negoció sus apariciones en televisión, pero no creó con los medios televisivos como lo haría un realizador o un video artista, sino al interior del medio: en el programa Borges, por Piglia (2014), serie de cuatro clases para la Televisión Pública, desplegó, en su punto más alto, un pensamiento que fue elaborado  durante toda una vida (El último lector; Los diarios de Emilio Renzi). 

Las intervenciones públicas de Piglia sobre Borges, con su respectiva invención conceptual, son comparables a la conferencia de Deleuze ¿Qué es el acto de creación? (1987). En esta, el filósofo francés avizoraba con claridad, entre otros fenómenos propios de las sociedades de control, un cambio de régimen del pensamiento, el pasaje del aula a la ubicua pantalla de video, simultáneamente funcionaba como una forma de resistencia a la demagogia y la trivialización generalizada de la divulgación del saber a la que estábamos ingresando en ese entonces nuevo momento histórico. En ambos casos se trata de un pensamiento en acto, grabado, acontecimientos captados en imágenes y sonidos. 

Al comienzo del abecedario para televisión, bromeando con Claire Parnet, su entrevistadora, Deleuze hablaba acerca de las circunstancias de ese programa y del hecho de que era inconcebible que respondiera una pregunta sin haberla pensado, pero que se resguardaba en la cláusula que especificaba que ese material solo sería utilizado después de su muerte; “reducido al estado de puro espíritu, hablaba ya después de su muerte -según el filósofo- de una manera un poco vaga”. 

El dualismo entre pensamiento -como manifestación pura del espíritu- y cuerpo -como ajenidad- constituye un tema recurrente en la historia personal de Piglia, profundizado hacia el final de su vida debido a la grave enfermedad que lo aquejaba (Esclerosis Lateral Amiotrófica): “tengo la sensación de que mi cuerpo no me obedece, que yo estoy sano, lúcido, para decirlo así, pero mi cuerpo está averiado” (Los diarios de Emilio Renzi. I., p. 344). Su diario está lleno de signos premonitorios en este sentido. En una página del primer volumen, correspondiente al año 1960, se lee “(…) yo tendría que tener la facultad mágica de que cuando pienso en algo, se escriba solo” (p. 85). Y en la “Nota del autor”, situada al final de Los casos del comisario Croce, uno de sus últimos libros, Piglia escribió:

 Compuse este libro usando el Tobii, un hardware que permite escribir con la mirada. En realidad, parece una máquina telépata. El interesado lector podrá comprobar si mi estilo ha sufrido modificaciones. Mis otros libros los escribí a mano o a máquina (con una Olivetti Lettera 22 que aún conservo). A partir de 1990 usé una computadora Macintosh. Siempre me interesó saber si los instrumentos técnicos dejaban su marca en la literatura. ¿Qué cambia y cómo? Dejo abierta la cuestión. (p. 183)

En la última parte de su trilogía, volviendo sobre una metáfora que ya había utilizado en un ensayo de juventud que dedicó a Ezequiel Martínez Estrada, Piglia señaló como causa de su condición al carácter destructivo de la lengua argentina: “la dolencia que me aqueja está directamente relacionada con los años que he pasado bajo la luz cenital y mortífera de la gramática nacional.” (pp. 159-160). El diario finaliza antes de la muerte su autor, aquel que lo apostó todo a la literatura.



Diario-pasajes de
Los diarios de Emilio Renzi.

«Esta edición de sus diarios estaba dividida en tres volúmenes: I. Años de formación, II. Los años felices y III. Un día en la vida. Estaba basada en la transcripción de los diarios escritos entre 1957 y 2015 (…).» (Los diarios de Emilio Renzi. I. Años de formación, p. 12).

«Había empezado a escribir un diario a fines de 1957 y todavía lo seguía escribiendo. Muchas cosas cambiaron desde entonces, pero se mantuvo fiel a esa manía. (…) Sin embargo está convencido de que si no hubiera empezado una tarde a escribirlo, jamás hubiera escrito otra cosa. Publicó algunos libros -y publicará quizás algunos más- sólo para justificar esa escritura. (…)» (Los diarios de Emilio Renzi. I., p. 11).

«Para quien se interese en estos detalles, insiste en señalar que las notas y las entradas de estos diarios ocupan 327 cuadernos, los cinco primeros son cuadernos marca Triunfo y el resto son cuadernos de tapa negra que ya no se encuentran y cuyo nombre era Congreso. "Sus páginas eran una superficie liviana que me ha llevado durante años a escribir en ellas, atraído por su blancura sólo alterada por la elegante serie de líneas azules que convocaban a la prosa y al fraseo, como si fuera un pentagrama musical o la pizarra maravillosa de la que hablaba Sigmund Freud", había dicho.» (Los diarios de Emilio Renzi. I., p. 12).

«También a mí me subyuga la presencia de un narrador que observa los acontecimientos, lejanamente implicado (como en Henry James, en Conrad y en Fitzgerald): me gustaría que él fuera el autor de estos cuadernos; con un estilo claro y eficaz reseña los hechos de mi vida, desde afuera, y podrá existir por las referencias ambiguas de mis conocidos que hablarán también de él (cuando se refieran a mí).» (Los diarios de Emilio Renzi. I., p. 281).

«El tono de la prosa de estos cuadernos deriva de la inversión del acto de escribir conscientemente. No hay preparación, súbitamente uno se sienta y escribe unas palabras sobre algo que ha sucedido o que recuerda o sobre algo que ha pensado, todo sucede en medio de la vida y de la acción, escribir un diario es establecer una pausa, una temporalidad propia, definida por anotaciones cronológicas. Escribir el día es el único signo formal que identifica a un diario. Todo lo que se escribe ahí es verdad, es otro pacto pero, sin embargo, muchas veces uno escribe lo que cree que ha sucedido y la realidad puede desmentirlo. (…).» (Los diarios de Emilio Renzi. I. p. 290).

«(…) Diario: collage, montaje, formas breves, muy tenso. (…)» (Los diarios de Emilio Renzi. II. Los años felices, p. 30).

«(…) La dificultad de escribir abierto en estos cuadernos deriva de la falta de construcción deliberada, que es a la vez virtud y el sentido de un diario. Pero como yo no creo en la espontaneidad ni en la sinceridad, está claro que ese diario no sería otra cosa que apuntes, notas, un modo de estar encima de mí mismo, dejar datos con los que reconstruir luego ciertas épocas, ciertos estados. Por eso, lo que necesitan no es "más literatura" sino más rapidez, más visión instantánea. Lo que importa es buscar esos tonos, ensayarlos, escribir "al correr de la pluma.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 54).

«(…) Estoy pensando en el seudónimo y el doble como una manera no corporal del suicidio. Perderse en otra identidad, desdoblarse, dejar que otro haga el trabajo sucio (por uno). Los dos remiten al enigma. En un sentido, se logra que el doble malvado sea uno mismo y que el mal o el oprobio sean narrados como algo personal. Resolución gramatical del suicidio. (Volver a esto.) La cuestión del doble verbal (el nombre falso), dos nombres, dos enunciaciones.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 114). 

«(…) El diario es como un sueño, todo lo que sucede es verdadero pero pasa en un registro tan condensado, tan cargado de sobrentendidos, que sólo puede entender el que lo escribe. (…)» (Los diarios de Emilio Renzi. II., pp. 121-122).

«(…) Me cuesta -es visible- encontrar un tono para estos cuadernos, pero eso justamente es lo que me gusta de ellos: la prosa es espontánea y rápida, por lo tanto muy cambiante, no hay una retórica común. Lo mejor es la continuidad, la persistencia, que son el gran desafío de la narración. Aparece también un rasgo que está en todo lo que hago: no me concentro en un punto, más bien me disperso y me dejo llevar por el impulso de lo que estoy escribiendo. La extensión se da en mí por acumulación, no por darle tiempo a la escritura y desarrollar hasta el fondo un tema, los motivos reaparecen pero no se desarrollan. Lo único que he podido hacer lo he hecho en el instante puro, sin porvenir, el futuro para mí ha sido siempre una amenaza.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 156).

«(…) Un núcleo básico que se irradia en múltiples direcciones, todas mis fantasías transformadas en distintos niveles de un mismo relato. Un delirio de la narratividad, cientos de pequeños núcleos anecdóticos, escenas, situaciones, una microscopía del tiempo y del recuerdo. Un diario.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 164).

«(…) Pienso en el gran tema de mi vida: el hombre solo (qué ve, qué puede ver, cómo piensa, etc.) es la base de la condición de la escritura de este diario. Por eso la ilusión de encontrar una forma individual y un lenguaje privado. Ese estilo -si existe- no tiene destinatario, por lo tanto nada que se sepa debe ser dicho. La prosa tiende al presente y a la descripción, se trata de una exterioridad radical del que escribe -el sujeto imaginario, o mejor, el escritor conceptual- en su relación con el lenguaje como materia propia. Un objeto que tiende a lo no dicho, al laconismo psicótico (la prosa se parece a eso) y a la no-comunicación hermética.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 220).

«(…) [U]n diario es el laboratorio de la literatura, pero en este caso el escritor se pone a prueba frente al mismo.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 242).

«¿Cómo fue que en 1969, cuando empecé a pasar en limpio los cuadernos, no vi que ahí estaba la novela que quería escribir? (¿Y ahora qué es lo que yo no veo?).» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 373).

«(…) Materiales verdaderos, dicción delirante.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 374).

«Cada vez más interesado en el proyecto de escribir, a partir del diario, una novela de educación (sentimental). "Sin darme cuenta" voy viendo aparecer en los cuadernos el narrador que siempre he buscado: furioso, irónico, desesperado, elíptico. Viene de ahí el tono de un protagonista que no soy yo. No hay como la autobiografía para confirmar que quien escribe no es quien es. (…)” (Los diarios de Emilio Renzi. II. p. 377). 

«(…) En estos cuadernos debo respetar una ley: nunca escribir textos extensos. Todo lo que diga debe tener menos de trescientas palabras. Relatos, recuerdos, lecturas, reflexiones, encuentros: es preciso descubrir el modo de sintetizar y concentrar; el diario es una cadena de eslabones finos, como aquella cadena que mi abuelo Emilio usaba para sostener su reloj de bolsillo.» (Los diarios de Emilio Renzi. II., p. 411).

«La vida no debe ser vista como una continuidad orgánica, sino como un collage de emociones contradictorias, que de ningún modo obedecen a la lógica de causa y efecto, de ningún modo, volvió a decir Renzi, no hay progresión y por supuesto no hay progreso, nadie aprende nada de su experiencia, salvo que haya tomado la precaución, un poco demencial e injustificada, de escribir y describir la sucesión de los días porque entonces, en el futuro -y nada más que en el futuro-, brillará como una fogata en el campo, o mejor, arderá, en esas páginas, el sentido. La unidad es siempre retrospectiva, en el presente todo es intensidad y confusión, pero si miramos el presente cuando ya ha pasado y nos instalamos en el porvenir para volver a ver lo que hemos vivido, entonces, según Renzi, algo se aclaraba.» (Los diarios de Emilio Renzi. III. Un día en la vida, p. 11).

«Como se ve, este cuaderno avanza porque escribo invariablemente en él una serie de motivos que llamaré musicales, una melodía, un ritornello donde se vuelve a decir lo mismo siempre pero en otro registro. El cambio más visible es cronológico: escribo lo mismo, digamos, pero lo escribo en días sucesivos, es decir, que hay una continuidad en la repetición. Nunca sabré si lo que aquí es una narración, es decir, una serie articulada de acontecimiento; en ese caso, la única forma de comprobarlo sería leer todas estas notas en una sucesión lineal.» (Los diarios de Emilio Renzi. III., p. 55).

«¿Podré hacer alguna vez, de estos cuadernos "negros", un laboratorio de mi propia vida? Rastros, citas, experiencias, ficciones breves.» (Los diarios de Emilio Renzi. III., p. 79).

«Transcribir el diario sería mi versión de En busca del tiempo perdido.» (Los diarios de Emilio Renzi. III., p. 154).



Nota al lector

Para realizar este escrito se han consultado numerosos libros de Ricardo Piglia. El avezado lector reconocerá en el cuerpo del texto algunas de sus iluminaciones. De cualquier manera, interesa aquí, más que el ejercicio de erudición, remitir a valiosas obras como Crítica y ficción (1986), Formas breves (1999), Antología personal (2014), La forma inicial (2015), y, por supuesto, Los diarios de Emilio Renzi (2015; 2016; 2017), en los que se encuentra el germen de vastas ideas que serían desarrolladas en los volúmenes de narrativa y de crítica del escritor. En el último apartado se optó por utilizar un procedimiento de montaje de citas, un mosaico de fragmentos de los diarios tomado de las numerosas entradas (alrededor de cuarenta páginas) sobre el tema, para exponer una visión de esa obra maestra. En el resto del trabajo se intentó utilizar la menor cantidad de citas, puesto que la obra de Piglia justamente trabaja en la extensión más que en la condensación (como poética).   

 

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