risultati per tag: Ricardo Piglia

  • Un uomo anziano, un po’ curvo, esce dalla casa dove vive, un piccolo alloggio prefabbricato di una periferia americana qualsiasi: lo vediamo in abiti da città, con cappello e cappotto, e immaginiamo stia uscendo per sbrigare qualche faccenda (e, dato il sole, che sia “freddoloso”). L’uomo cammina lentamente, sembra scosso, e fa qualcosa che non ci aspettavamo: si blocca all’improvviso (e la macchina da presa, in maniera involontariamente poetica, indugia un istante prima di mostrarci il motivo della sosta). L’anziano si è fermato ad osservare il cespuglio di rose nel portico e si china per coglierne e odorarne una, avvicinandola al volto, mentre la voce over racconta che i fiori furono piantati dall’amata moglie morta.

  • È più lenta la vita o la sua scrittura? Ma non si potrebbe dire anche il contrario? È più rapida la vita o la sua scrittura? La seconda, almeno, scorre per restare. La scrittura come carta moschicida sulla quale lasciare aderire la vita.

  • Numerose pagine della letteratura argentina sono dedicate a un paradosso: la vita colta in un momento complesso, inesplicabile, al bordo dell’intraducibile che, pure, riesce a trasformarsi in territorio e, quindi, in romanzo (La vie est un roman, chioserebbe Resnais nel titolo del suo film - scritto da Jean Gruault - forse più vicino al dettato del crepuscolo) e a ricostruire un sito che, come dice Borges, è menos documental que imaginativo. Cortázar, come si sa, non finiva mai di interrogarsi sulle leggi segrete della creazione letteraria: come Piglia, come Saer il narratore è, anche, secondo una tradizione esoterica ed erudita – inaugurata da quel grande amanuense che era proprio Borges – «lettore»: ultimo, come si voleva Emilio Renzi-Piglia, ma anche «poeta» come Saer, e, in tutti i casi, «critico» (un racconto emblematico di Cortázar è, in questo senso, Los pasos en las huellas) che abbraccia tutta la letteratura universale scoprendo, alla fine, che non si è fatto altro che comporre, come in un quadro di Arcimboldo con la sua simbiosi paranoica di oggetti, un mosaico di immagini il cui risultato è il proprio stesso volto. Cortázar, si diceva: in Intermedio magico accenna alla forza della poesia e del suo strumento principale, la metafora, capace di penetrare nel mondo delle cose stesse, fuori dalla legge del nome (aborrita anche dall’Eltsir di Proust), e cancellare la singolarità delle cose attraverso il ponte magico del «come», che permette al cervo e al vento (qui Cortázar cita Levi-Strauss) di partecipare (di gioire, verrebbe da dire) di una medesima qualità.

  • 327 Quaderni

    Jean-Luc Godard suggeriva in un'intervista la maniera in cui un giovane aspirante cineasta potrebbe girare un film: dovrebbe limitarsi a raccontare un giorno della sua vita che, aggiunge ingannevolmente, è quello che James Joyce fece con l'Ulisse. Questa battuta dell'artista ammirato da Ricardo Piglia, fa luce anche sul pensiero dello scrittore e critico argentino.

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