Si apre l’immagine come un foglio da decifrare, tanti fogli rilegati uno ad uno a contenere mondi e al di là, chiusi eppure pronti ad essere sfogliati. Le livre d’image è, appunto, un libro che si racconta e ci lega, è image et parole che prendono forma ogni volta che le livre entra in possesso del nostro sguardo e la palpebra si apre. Il tocco di Godard che ricompone ancora una volta la sua Histoire(s) du cinema, abisso su cui rimettere continuamente le mani per andare più a fondo (ché l’immagine in fondo è un precipizio di cui non si vede mai la fine), mette in chiaro la sua idea di (non) fare cinema come se quell’infinito del verbo implicasse un lavoro instancabile che gira intorno ad un’unica interrogazione: cos’è il cinema?


Non è mai stata un’arte e ancora meno una tecnica ma un mistero.

Se – secondo Edmond Jabes - «Non si scrive se non l’impossibilità di scrivere», così Godard nel suo cinema non fa altro che indagare e gridare l’impossibilità di filmare come se fosse dentro ad un eterno Adieu. Godard è dentro la sua officina, il suo è un laboratorio per immagini e parole dove suoni e voci si incrociano e si scontrano travasati in infiniti film: Rohmer, Bresson, Vigo, Tourner, Lumiere, Rivette e poi, la pittura, la poesia, la filosofia e la musica… lo sguardo di Godard torna al già visto e a tutti i tentativi di risposta tracciati come solchi in ogni singolo frame e così la storia del cinema viene smembrata, presa tra le mani e sottomessa a quell’indice indagatore che diventa gesto divino, la Mano di Dio come intervento supremo.

Le mani dunque diventano il segno distintivo di questo smontaggio senza sosta che nel fare si disfa di tutte le sue certezze passate consumando la Storia e le immagini, sgranandole, deformandole, strappandole alla loro vita e vista (l’impossibilità di vedere per vedere meglio in Adieu au langage con l’utilizzo del 3D) per riempirle nuovamente o svuotarle completamente e ridurle a frammenti con il gesto dell’intermittenza che crea un ulteriore abisso, ritmo e, quindi, verso tra le immagini.

Perché il film, secondo Godard, «è qualcosa di inerte, che è restituito alla vita dalla vostra/nostra parola», image et parole: e allora si dovrebbe penser avec le mains, ritornare al gesto primitivo che ci tocca, un battito di mani che sfiorano e pungono e aprono l’immagine come fosse un’eterna domanda senza risposta. Le livre d’image come un grande libro delle interrogazioni (e qui cito il titolo di un’immensa opera letteraria di Edmond Jabes) in cui l’autore si interroga sulla memoria delle immagini mettendola tutte le volte in discussione per cui il libro risulta essere interminabile, mai chiuso perché nessuna risposta può scriverne la fine. Il treno passa o è già passato infinite volte.

Tags: