Cinema di spazi, rarefatti, sfuggenti a certa prerogativa definitoria del logos (direbbe Cortázar: non casualmente mi viene in mente lui e quel libro combinatorio, cangiante che è Rayuela), e invece aperti allo sguardo errante, sonnambolico – pronto a equivocare le coordinate di stazio e di tempo, proprio come quando ci si sveglia e per un po' non si sa dove ci si trovi – Disco Boy di Giacomo Abbruzzese appare come un oggetto eteroclito, occhiuto; organismo affetto da eterocromia (occhi di due colori diversi) e così vede le cose doppie, come illuminate di vuoti, sibili; di ammutolimenti e ammutinamenti; tinte sature e sfumature acquoree, sonanti dei corpi e dei luoghi, colti da Hélène Louvard, premio al Festival di Berlino per la miglior fotografia.Ora il film si appresta a uscire nelle sale a partire dal 9 marzo, con due anteprime pugliesi, questa sera a Bari al Cinema Splendor, e domani all'Orfeo di Taranto, alle quali participerà il regista tarantino introdotto da Massimo Causo. Di ritorno da Parigi, qui il resoconto di ciò che mi ha detto.