uzak_1_Riflessione_sul_rapporto_tra_cinema_e_nuovi_media_2L’avvento di internet nell’universo della comunicazione, e di conseguenza anche in quello dell’audiovisivo, è stato un enorme fattore di cambiamento delle nostre pratiche di consumo culturale.
Riuscire a offrire un quadro esaustivo sull’argomento sarebbe solo una presuntuosa ambizione; la sola operazione possibile è forse quella di fornire delle rotte indicative, consci dell’estrema difficoltà nell’analizzare e rendere conto di un magma difficilmente comprimibile e in continua dilatazione.

Basta infatti  inoltrarsi nel mare magnum della navigazione in rete per capire immediatamente come internet sia un fenomeno in perpetua evoluzione, espansione e rimodellamento. I suoi contenuti cambiano con la stessa velocità della sua forma. Inoltre, l’effetto di internet non è unico, univoco e unilaterale, ma dipende dalla tipologia del prodotto con cui si confronta.
Il world wide web è stato capace di assorbire ogni altro tipo di supporto e di sistema distributivo, fossero essi film o libri, musica o news. Il web ha ridotto tutti questi prodotti, questi linguaggi e questi servizi a un unico codice numerico, a una sola tecnica di registrazione e di trasporto, di conservazione e di riproduzione, creando un enorme catalogo, una specie di ipertesto enciclopedico di tutte le opere, teoricamente disponibile per ogni consumatore in ogni istante.

Certamente il web è lo strumento più efficace per diffondere in modo istantaneo conoscenze, scoperte e informazioni. Grazie alla perfetta standardizzazione globale, questo dispositivo si dimostra imbattibile dal punto di vista della penetrazione, del contatto col singolo utente, dovunque questo si trovi. Si assiste a un’evoluzione dei consumi culturali verso la dimensione individuale e privata, un consumo che si estende in nuovi spazi fisici e temporali nella vita di tutti i giorni.
Molto sta cambiando nella fruizione di cinema e di prodotti audiovisivi. La catena della comunicazione audiovisiva si sta modificando vistosamente nel percorso del prodotto finito verso il pubblico. Il comportamento di consumo dello spettatore diventa sempre più influente sull’organizzazione dell’offerta. Tempi, luoghi e strumenti per consumare immagini audiovisive si moltiplicano e si spostano rispetto alle ritualità tradizionali. Vengono a cadere tutte le barriere, non ci sono più spazi e tempi deputati alla visione cinematografica.

Il cinema per come lo abbiamo conosciuto nel Novecento, cioè spettacolo collettivo di grande incidenza sull’immaginario comune, sta sparendo. Viene meno la fase dell’incontro sociale, quella in cui un nucleo eterogeneo di individui diventa un gruppo organico, un pubblico, che risponde in sincronia alle sollecitazioni che arrivano dallo schermo.
I film ciascuno di noi continua a vederli, ma seguendo un percorso personale, fatto di visioni spesso casalinghe, di scoperte nelle sconfinate possibilità offerte dal tasto download dei siti internet.

Nel mondo dell’informatica lo scaricamento (download) è l’azione di prelevare dalla rete un file trasferendolo sul disco rigido del computer o su un’altra periferica dell’utente. Da un iniziale sistema centralizzato, strutturato attorno a un server centrale, una banca dati a cui attingevano i vari client, cioè gli utenti, si è arrivati, attraverso il sistema peer-to-peer, a un nuovo livello di infrastruttura software distribuita. Il peer-to-peer è una rete di computer in cui tutti gli elaboratori occupano la stessa posizione gerarchica, dove non esistono più client o server fissi, ma un numero di nodi equivalenti (peer, appunto) che fungono sia da client che da server verso altri nodi della rete. Una formula, questa, che rivaluta l’utente come soggetto attivo, in contrapposizione a chi lo manipola ancora come un oggetto. Tale modalità è normalmente conosciuta con il termine Gruppo di Lavoro, in antitesi alle reti in cui è presente un dominio centralizzato. Proprio l’assenza di un server centrale che amministri le connessioni e le risorse è la chiave di volta. p2p è un’architettura nella quale i computer connessi a internet possono condividere capacità di calcolo, spazio su disco e ogni tipo di risorsa in genere, senza un luogo centralizzato che tenga traccia delle connessioni.

Attraverso il web, dunque, cambia lo statuto dello spettatore/consumatore di cinema. C’è ora una libertà e una facilità d’accesso alla visione, una flessibilità nel tempo e nello spazio fino ad ora sconosciute. L’online permette immediatezza e disponibilità infinita di archivi, cioè tutto il cinema del mondo, dalle novità alle zone marginali della produzione, dai classici alle opere sperimentali, nel momento in cui lo si vuole. Possibilità di accedere all’intero patrimonio audiovisivo, così come accade per tutte le arti della riproducibilità meccanica.
Si mette lo spettatore nella stessa condizione del lettore, incentivando la visione di opere audiovisive in una situazione autonoma e individuale.

Questo “nuovo spettatore”, svincolato dalle gabbie della distribuzione e dell’esercizio cinematografico, diventa l’unico responsabile delle proprie scelte e decisioni. La pesantezza organizzativa ed economica del prodotto cinematografico, che legava la fruizione a una serie di vincoli (la rigidità del consumo pubblico e collettivo in sala), fattori determinanti nello stabilire i luoghi, i tempi e le modalità del consumo, sta progressivamente scomparendo a favore di una maggiore immediatezza e facilità di visione, più affine alla natura del linguaggio audiovisivo. La rete scardina ulteriormente la cornice obbligata della sala cinematografica, il luogo deputato dove normalmente il film può essere visto, e si insinua in ogni spazio domestico, nei luoghi più inusitati. Attraverso l’assottigliamento del supporto, la sua smaterializzazione, si ottiene un massimo di penetrazione capillare. Il cinema smette di avere dei rigidi confini, sia fisici che mentali, dei luoghi e delle circostanze deputati per la visione, marcati da precise soglie. Saltano le regole dei modi di comportamento spettatoriale; lo spettatore non è più limitato nei suoi comportamenti. Il consumo di un film ora si può aggregare a una serie di altre azioni, una serie di attività che possono integrare e arricchire la visione.
Anche il cinema diventa un’esperienza culturale liberamente decisa e gestita, senza più filtri e condizionamenti, che risponde a dei bisogni specifici e non più indistinti, e che avviene in spazi sempre più privati.

Per via di tutti questi aspetti bisogna prendere però atto che il cinema è sempre meno rito collettivo, occasione di aggregazione, esperienza popolare. In quanto rito, lo spettacolo cinematografico, richiede oltre alla partecipazione mentale anche quella fisica, ma con l’avvento delle nuove tecnologie questo secondo aspetto, quello dell’incontro sociale, della visione associativa,  sta venendo meno. L’esperienza filmica filtrata attraverso il web trasgredisce una serie di regole che ne permettevano la legittimazione, l’identificazione, la riconoscibilità sia individualmente che socialmente. Come sostiene Francesco Casetti, se da un lato la moltiplicazione dei modi di fruire film e la fine della centralità della visione in sala ha allargato i confini dell’esperienza filmica, dall’altro, questa, si è sciolta in una più generica esperienza mediale, perdendo la sua specificità:
La visione di un film, che un tempo pareva caratterizzata da una serie di tratti stabili e precisi, oggi tende ad acquisire contorni più ambigui: soprattutto quando si realizza attraverso nuovi dispositivi e in nuovi luoghi di fruizione, per un verso la sua identità sembra sparire, ma per un altro sembra rinnovarsi e trovare una nuova identità (2007, p. 4).

Per lo spettatore audiovisivo la rete rappresenta una tentazione permanente ed estenuante: quella di una ricerca infinita, di un’informazione totale, di una consultazione accanita, imperfetta, ma così vertiginosa da risultare gratificante per sé stessa. L’appassionato di cinema ha a disposizione, tramite la rete, un panorama sterminato di materiali, soprattutto grazie alla caratteristica della multimedialità propria di questo mezzo. Infatti, se su una rivista cartacea troviamo informazioni, recensioni, fotografie relative a un film, sullo stesso film, da un’unica pagina web (dall’Internet Movie Database, ad esempio), oltre alle informazioni e alle immagini, possiamo direttamente accedere al trailer, ascoltare brani della colonna sonora, avere la filmografia degli interpreti e del regista, leggere le recensioni delle principali riviste.
Il cinema è diventato una vera e propria “società di discorso”, un potente soggetto di conversazione e di coesione, condiviso da settori sempre più ampi della nostra società, un discorso che ci avvolge da ogni parte, occupando spazi nuovi nei media e nel nostro tempo libero. Il cinema come “discorso sociale”, “culto condiviso”, ne esce esaltato. Il web, da questo punto di vista, rappresenta la riscoperta del bisogno di relazionalità ed espressività dei soggetti sociali, favorendo nuovi spazi di scambio.

Sono un esempio palese di quanto appena sostenuto le numerosissime community di interesse cinematografico: comunità virtuali trasversali che nascono più facilmente che all’interno dell’ambiente sociale “concreto”, società di comunicazione che si creano un’identità condivisa, narrazioni sociali comuni. Le caratteristiche di istantaneità e pervasività proprie delle community favoriscono spontanei fenomeni di culto. La pratica del passaparola si rivela un’efficace strategia comunicativa che permette lo scambio diretto, appassionato e disinteressato di idee, esperienze e raccomandazioni.
Una conferma dell’efficacia del passaparola telematico è data dal caso distributivo di Donnie Darko, il film d’esordio, del 2001, di Richard Kelly. Proiettato per la prima volta in periodo post-undici settembre, il film risulta inadatto al mercato. Il pubblico medio americano rifiuta le avventure del giovane afflitto da problemi di disordine mentale, protagonista di un’opera dalle tonalità sinistre e funeree. Il film diviene un paradigmatico caso di flop commerciale che si trasforma in cult grazie a un passaparola incessante sul web, da parte di utenti che si appassionano al racconto surreale e complesso.  Il sito del film, complemento all’opera, contribuisce a costruire l’aura di mistero in merito alle vicende di Donnie Darko, e finalmente nel 2004, con tanto di presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Mezzanotte”, la distribuzione decide di riproporlo nelle sale, offrendo così una seconda occasione per conoscere un oggetto di amore-odio e di dibattiti estenuanti sugli infiniti dettagli sparsi tra le trame di una narrazione pluristratificata.

La rete rappresenta una minaccia in espansione al dominio che le majors hollywoodiane hanno sull’immaginario cinematografico. Un’alternativa all’offerta sempre più generalista e poco ispirata che la grande industria cinematografica continua a produrre e distribuire. Le caratteristiche intrinseche della rete informatica stanno, infatti, sovvertendo gran parte delle regole stabilite del cinema, portando il settore verso una forma di democratizzazione prima inconcepibile. Gli utenti di internet dimostrano di essere capaci di scelte in controtendenza, non conformi ai parametri imposti dal cinema commerciale. Proprio per questi aspetti, e anche per il fatto che internet sta diventando un medium sempre più basato su contenuti video, i cineasti indipendenti vedono nel web una valida opportunità per distribuire il proprio lavoro, dato il bassissimo costo di produzione dei materiali per la rete, e guadagnare visibilità presso il pubblico, risultati altrimenti irraggiungibili in un panorama di multisale dove spadroneggiano pellicole ricche di effetti speciali e superstar.
Con l’avvento del web
si registra un incremento del consumo di cinema, in termini di quantità. Il prodotto audiovisivo, da pura e semplice forma di svago e di consumo d’immaginario, si è modificato diventando un vero e proprio bisogno culturale. Questa immensa possibilità di scegliere è sicuramente un’opportunità, ma anche un fatto che disorienta.

Mancando infatti un’istituzione riconosciuta è difficile stabilire quale possa essere la strada maestra, e di conseguenza anche un possibile atto di trasgressione nei riguardi di questa. Per trovare le cose bisogna sapere che esistono e avere voglia di cercarle. Siti specializzati, blog, community colmano sicuramente un vuoto informativo, soprattutto a riguardo di opere e operazioni che faticano a trovare ampia risonanza,  ma non aiutano a stabilire quali siano i film da vedere dal momento che le uscite in sala non sono più un evento e i giornali hanno rinunciato a creare un orientamento del gusto. C’è una sovrabbondanza di informazioni in cui è difficile orientarsi, d’altro canto, questa è la natura della rete: l’utente rischia di essere catturato e perdersi in siti che offrono notizie superficiali, non attendibili o prettamente promozionali.
La cultura cinematografica si è ormai molto ampliata. I tempi della cinefilia massonica sono molto lontani e oggi qualsiasi spettatore ha a sua disposizione formidabili strumenti di conoscenza della storia e della tecnica del cinema. La funzione della pubblicistica cinematografica (intendendo con ciò non solo libri e riviste ma soprattutto l’attività divulgativa di cineteche, cineforum, cineclub ed enti culturali vari) è dunque finita? Molto probabilmente no. Solo, anch’essa deve adeguarsi al mutato panorama generale.

Discorso analogo dovrebbe essere fatto nei riguardi del linguaggio cinematografico che sembra aver accolto le potenzialità del web solo tangenzialmente. Non si sono ancora registrati contributi reali a una nuova estetica dei film. Manca l’invenzione di un linguaggio che crei nuovi meccanismi narrativi. I film che fino ad ora si sono confrontati con la rete telematica sono stati capaci soltanto di riproporre modelli strutturali stereotipati e canovacci vecchissimi; problema accentuato dal fatto che l’interattività, peculiare di ogni manifestazione in rete, trova difficoltà insormontabili ad applicarsi al flusso delle immagini che impediscono scelte da parte dei fruitori. Il cinema sembra momentaneamente incapace di elaborare nuove soluzioni narrative e strutturali. Come fa notare Lev Manovich, il linguaggio cinematografico, nella maggioranza dei casi, si organizza ancora attorno a un modello di narrazione sequenziale, una catena di montaggio di inquadrature che appaiono sullo schermo una dopo l’altra:
La prassi cinematografica del Novecento ha elaborato delle tecniche complesse di montaggio, in cui le diverse immagini si sostituiscono a vicenda nel tempo; ma la possibilità di quello che si può chiamare “montaggio spaziale” di immagini coesistenti non è stata esplorata altrettanto sistematicamente (2002, p. 395).

Una sorta di tentativo in questa direzione oggi è rappresentato dal cinema di Peter Greenaway, uno dei registi più impegnati nell’esplorazione delle potenzialità del linguaggio cinematografico. Greenaway si lamenta di come la narrazione lineare sia il formato standard della produzione cinematografica. Nella costruzione delle sue opere si rifà, allora, al concetto di database. È infatti possibile pensare a tutto il materiale girato come a un database, anche perché la realizzazione non segue la narrazione, ma le esigenze della produzione. In fase di editing, il montatore costruisce la narrazione attingendo a questo database e creando una traiettoria attraverso lo spazio ideale costituito da tutti i film che si sarebbero potuti teoricamente realizzare. Per tutta la sua carriera il regista inglese ha cercato una mediazione tra database e forme narrative. Molti suoi film seguono un elenco di voci, un catalogo privo di qualunque ordine prestabilito. Nel tentativo di abbandonare la narrazione lineare, Greenaway usa diversi sistemi per ordinare i suoi film in fase di montaggio. Visivamente poi alcuni suoi film si organizzano attorno a cornici rappresentative concentriche, che dividono lo schermo in una serie di quadri sempre più numerosi. La narrazione attiva diverse parti dello schermo cosicché il montaggio temporale cede il passo al montaggio spaziale. In ogni immagine si addensano infiniti riferimenti intertestuali, fra le inquadrature si creano innumerevoli relazioni, c’è una sovrabbondanza informativa data dalla compenetrazione tra immagini, musiche, parole che si incrociano e si scontrano continuamente, fra interviste, dialoghi, calligrafie, postille colorate e scritte. La logica della sostituzione lascia il posto alla logica dell’addizione e della coesistenza. Il desiderio di Greenaway è di portare “il cinema fuori dal cinema”, farlo interagire con tutte le altre stimolazioni culturali e mediali della quotidianità. È in questa direzione che si inscrive la serie di installazioni d’arte e di mostre nei musei che dagli anni Novanta sta continuando a proporre.

Sul versante della produzione italiana, forse, l’unico caso di effettivo uso delle potenzialità organizzative della rete è offerto dal broadcast indipendente Indymedia, che è stato capace di creare immagini corredate di scritte e grafica in un connubio indissolubile, montate in film mai definitivi, cangianti e sempre in progress con precisi intenti informativi, ma anche di spettacolo, che fanno uso di tecniche di montaggio digitale e di suggerimenti provenienti dalla rete stessa.
Il cinema deve, infine, cercare di far proprio quello che Michel Foucault scriveva negli anni Settanta:
Oggi ci troviamo nell’epoca della simultaneità: siamo nell’epoca della sovrapposizione, l’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, della dispersione… la nostra esperienza del mondo non è più quella di una lunga vita che si sviluppa nel tempo, ma quella di un network che unisce dei punti e li mette in connessione (2002, p. 399).

 

Bibliografia

Casetti F. (2007): L’esperienza filmica, consultabile in versione pdf sul sito http://www.francescocasetti.net/ricerca.html.

Foucault M. (2002): Dits et écrits (1997), in Manovich (2002).

Manovich L. (2002): Il linguaggio dei nuovi media, Edizioni Olivares, Milano.