uzak_1_lettera_a_unamica_scrittriceCara Hélène,
Senza dubbio la prima cosa è spiare se stessi. Il che è come chiederti: tu quando scrivi cosa guardi? E soprattutto: cosa ti riguarda? Altrove  – cioè un luogo il cui esser pubblico o pubblicato è ininfluente – avevo scritto: “Prima regola: l’agente segreto è una credenza popolare, una leggenda metropolitana.
Il fatto stesso che lo si dica segreto misura la distanza fra le proprie convinzioni e la realtà. L’essere segreto si custodisce nella speranza che non sia vero.

Ma è su tale speranza che l’agente deve agire perchè non venga mai denunciata la sua unica debolezza, cioè l’essere visibile a chiunque sempre, almeno quanto deve essere dappertutto e dappertutto in forme diverse. Segreto è sinonimo di visibile. E la visibilità è il primo irrinunciabile passo per acquisire segretezza. È necessario a un certo punto essere visti e proprio in quel momento procurarsi un fantasma di lato, occultare e occultarsi. Sbilanciare.

Jack comprese la sua intima natura di virus. Diffondersi in silenzio, mentire anche a se stessi sulla propria esistenza, contagiare, mantenersi incurabile, mimare una bellezza. Seppe qualcosa di sé solo quando gli fu chiaro che la sua casa era un posto qualsiasi oltre le linee amiche e nemiche e che i suoi rapporti sarebbero stati spediti a un Comando il cui primo obiettivo era di negarsi in quanto Comando. Si affannava per il quartier generale e non c’era nessun quartier generale.

Non è affatto il rispecchiamento a interessarmi, perchè altrimenti dovrei credere al finalismo del caso (a ricorrenze ovviamente mai casuali), ma ciò che, oltre lo specchio, resta da e dello scrivere (il che significa, come tu sai bene, stare a guardia della morte). Per esempio reserve e liaison sono soglie, indagini preliminari (parole), che spalancano l’abisso nel quale dire qualcosa sui loro raccordi invisibili, sui raccordi invisibili prima ancora dei fatti, mentre l’agent si stupisce di vederle allontanarsi in stato d’ipnosi, come quando si vede una nave salpare e si aspetta il momento in cui sarà inghiottita dall’orizzonte. Si cercano allora r-accordi, impronte, nodi. E si incontrano spettri, lembi, ris-volti. A tal punto che può capitare, in così protratto riguardarsi, di riconoscere fatti e persone, papaveri e papà veri, perdendoli per sempre. (Ieri sera ancora ti ho pensato, quando al bambino faulknerianamente protagonista in flash-back di How Green Was My Valley, costretto a letto per un anno con le gambe ghiacciate fino alle ossa, viene regalato un libro che gli durerà fino alla prima-vera: L’isola del tesoro). E questa è la seconda regola dell’agente segreto: essere sempre in dis-accordo con io. Fare in modo che la parola lentamente appartenga all’altro, che ne provenga, fino all’incrocio celibe dove si diramano tutte (tutt’altre) strade. Ou peut-être les ai-je rêvés?

(c’è anche una terza regola: “tutta questa morte diffusa (occhi scuri di finestre senza vetro, buchi neri, griglie cieche sotto tetti piegati), non è abbastanza per sostenere di non aver visto quella donna killer alle spalle. Bionda, il sole in faccia, si accarezza con studiata noncuranza la ciocca di capelli sul viso leggermente rivolto al cielo. E il suo unico pensiero è ucciderti”)

un abbraccio