risultati per tag: Raffaele Cavalluzzi

  • Non è facile recensire un libro in grandissima parte composto a sua volta da 195 recensioni comeAl cinema con lo psicanalistadi Vittorio Lingiardi (Raffaello Cortina Ed. 2020): gli stimoli e le sollecitazioni sono tantissimi, dato l’argomento e, al di là dell’eccellente professionalità, le multiformi capacità intellettuali dimostrate dall’Autore. Però il volume si avvale anche di una Prefazione di stima e di apprezzamento dovuta alla penna della più che brillante giornalista cinematografica diRepubblicaNatalia Aspesi, che già segnala, partecipe, non solo temi, ma soprattutto sensibilità culturali che introducono opportunamente le variegate linee di ricerca le quali costituiscono la rete attrattiva dentro cui s’incontrano occasioni che permettono vivacità e acutezza a tutti i luoghi di lettura del volume.

  • A Dakar, lungo la riva dell’Oceano, una irrisolta storia d’amore tra due giovani senegalesi, che si avvolge in una trama in cui, nella seconda parte, una straordinaria dimensione, in qualche modo al di là dell’onirico, inquieta e dà un accento di particolare tenerezza alla conclusione sospesa (Atlantique, Grand Prix a Cannes nel 2019, della regista di formazione francese, esordiente nel lungometraggio, Mati Diop).Lo scenario è dato da cantieri e strade di un sobborgo segnati dallo squallore di un’edilizia sistematicamente incompiuta, tipica di tante periferie del terzo mondo; intanto una torre ultramoderna svetta sul disordine diffuso.

  • Il sottotitolo di questo libro di teoria e critica militante di A. O. Scott, giornalista e capo della sezione di critica cinematografica del “New York Times”, recita così: «Imparare a comprendere l’arte, riconoscere la bellezza e sopravvivere al mondo contemporaneo». Allora, è senz’altro riconoscere la bellezza il tema più difficile che qui è affrontato.

  • Good Time (di Bennie e Josh Sofdie, 2016-2017) è già traducibile nel titolo con un’espressione che si avvicina al nostro “tempo felice”: esso è termine antinomico rispetto alla sostanza limacciosa della vicenda intensamente drammatica del film. E si riferisce a una sorta di nuovo sogno americano, che qui è evocato dai protagonisti del degrado sociale estremo, e della condanna senza speranza che esso decreta per due suoi giovani succubi (il piccolo malavitoso Connie Nikas – Robert Pattinson – e suo fratello Nick – Bennie Sofdie –, un ritardato mentale su cui incombono, insieme, la giustizia e l’assistenza psichiatrica).

  • Questa ricerca monografica di Marco Luceri non presenta solo varietà di occasioni, esperienze e contesti, insieme a complessi incroci culturali, ma è una parabola dell’opera di Polanski che lascia emergere uno straordinario ossimoro: tenebre (paesaggi di dolore e di morte) splendenti, al di là del fascino eccezionale e unico di questo cinema. È una tragicità che conquista: l’ottica del negativo è costantemente presente, e splendente appunto, attraversando l’intera attività biografica e artistica del regista polacco, che è seduttiva quant’altre mai. L’ analisi dei lungometraggi di Polanski si apre con un’acuta introduzione segnando la dialettica tra Coltello nell’acqua, Repulsionee Cul de sac.

  • Il nichilismo, da Machiavelli (l’oscena tragicità del potere) a Shakespeare (“La vita… è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori senza significato alcun!”), già appare nella letteratura a ridosso dell’esordio della modernità rinascimentale. E, più tardi, se conosce il suo culmine nell’“età della crisi” con scrittori come Poe, Dostoevskij e Kafka, nel cinema del Novecento ha un inatteso rappresentante in Alfred Hitchcock. La tesi illustrata da G. Canova nel saggio d’apertura del volume scritto a più mani Alfred Hitchcock.

  • A introdurre il volume di C. Eastwood, Fedele a me stesso. Interviste 1971-2011(a cura di Robert E. Kapsis e Kathie Coblentz. Edizioni minimum fax, 2019), sono i due curatori, che partono, quasi naturalmente, dalle difficoltà giovanili dell’attore-regista alla ricerca di un lavoro, che, all’inizio come attore, non gli riesce certamente facile nella Hollywood di grandi protagonisti del cinema degli anni Cinquanta. È l’inizio di una storia che lo porta però sostanzialmente a passare da due stereotipi consacrati dalla filmografia di quel tempo, lo sfrontato poliziotto-carogna e il freddo pistolero, a nuovi prototipi, destinati a diventare tali proprio grazie a lui, e ai grandi registi che nel frattempo cominciano a dirigerlo.

  • Giacomo Debenedetti è stato uno degli intellettuali più acuti del Novecento italiano, primeggiando soprattutto nell’ambito della critica e della saggistica letteraria: ha attraversato tutta la prima parte del secolo, approdando infine alla stagione degli anni ’60 con un valore di risultati che, di fronte alla scandalosa sottovalutazione dell’Accademia, ha saputo produrre una lettura tra le più puntuali e appropriate della vicenda complessa del suo tempo. Il codice interpretativo dei grandi scrittori e poeti contemporanei a lui dovuto risulta forte – con eleganza e passione che restano integralmente letterarie – degli inputderivati da una cultura anche esplicitamente extraletteraria, dalla psicanalisi alla filosofia, dalla politica alla storia, dalla sociologia all’antropologia, e così via. Il bacino di formazione di questo atteggiamento cognitivo – che comunque non ruppe mai con i fondamenti dell’estetica di Croce – fu senz’altro determinato dalla spinta modernistica del pensiero gobettiano (e gramsciano) negli anni ’20, e da quella delle riviste giovanili che si seppero ispirare alle idee della “rivoluzione liberale”. La molteplicità d’interessi per il coraggioso arricchimento dell’orizzonte culturale italiano si aprì così, in quella fase, ad ambiti fino ad allora inesplorati da parte della migliore intelligenza nazionale.

  • Tra le diverse pubblicazioni o riproposte delle opere di Sciascia nel centenario della sua nascita questo volumetto che raccoglie scritti cinematografici dell’autore siciliano trova nella nota al testo di Paolo Squillacioti l’indicazione che a guidarlo, nella sintetica indagine, sono i significativi saggi di Antonio Di Grado e di Emiliano Morreale, e le monografie di Maria Rizzarelli e Angela Bianca Saponari. La parte più cospicua del libro raccoglie intanto scritti sul cinema in generale, mentre il tema più intrigante è quello dedicato all’argomento “Dai libri ai film”, cioè al rapporto tra letteratura e cinema, considerato da uno scrittore molto presente, com’è noto, nella produzione cinematografica italiana di alcuni decenni fa.

  • Il gelido velo dell'oscurità

    Ciò che si evidenzia sicuramente dalla matassa di Interviste sul cinema e sulla vita di Michael Haneke, curate da Michel Cieutat e Philippe Rouyer e ora pubblicate in Italia con il titolo in parte mutuato da un suo film Niente da nascondere, è la netta ispirazione nichilista del noto regista austriaco. Sebbene, non si tratti di un nichilismo ad ogni costo: rifiuta, infatti, di rappresentare la violenza, e gli spettatori sono portati ad aver paura di confrontarsi con la rappresentazione diretta delle atrocità commesse, per esempio, dagli aguzzini di Funny Games (l’originale, e il gemello poi girato in USA), senza, alla fine della catarsi spalmata su tutto il film, vedere nulla (è appena la percezione, e Haneke fra l’altro dichiara: “nemmeno per un secondo penso che tutte le persone siano come questi due ragazzi di Funny Games” – p. 194).

  • C’era una volta il cinema equivaleva per Sergio Leone a “c’era una volta il mito del cinema”. Il racconto della non lunga vita dello straordinario reinventore poetico del sottogenere spaghetti-western è un cordiale e minuzioso inanellamento di innumerevoli e spesso divertenti episodi dell’entusiasmo e del mestiere di cineasta per un intervistatore francese, Noël Simsolo, componente, con lui, di una sorta di famiglia di cinefili (o ciné-fils, figli di cinema), frequentatori, in quindici anni di amicizia (fra gli anni Settanta e Ottanta), di festival, di incontri mondani e professionali di varia natura, e di scorribande notturne per le strade delle capitali europee, in primis Parigi.

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