Good Time (di Bennie e Josh Sofdie, 2016-2017) è già traducibile nel titolo con un’espressione che si avvicina al nostro “tempo felice”: esso è termine antinomico rispetto alla sostanza limacciosa della vicenda intensamente drammatica del film. E si riferisce a una sorta di nuovo sogno americano, che qui è evocato dai protagonisti del degrado sociale estremo, e della condanna senza speranza che esso decreta per due suoi giovani succubi (il piccolo malavitoso Connie Nikas – Robert Pattinson – e suo fratello Nick – Bennie Sofdie –, un ritardato mentale su cui incombono, insieme, la giustizia e l’assistenza psichiatrica).

I due sono destinati ai margini invalicabili di un quartiere emblematico di contraddizioni della metropoli newyorkese, dove si vive al di fuori di ogni regola e soprattutto – i miserabili – di ogni possibilità di riscatto. Il sogno è riuscire a ritrovare, con i soldi di una rapina in banca, magari in una fattoria del mitico territorio rurale, di primitiva, risolta bellezza, ad esempio la Virginia, la libertà e la voglia di essere al mondo – come significativamente scelse di fare per tutta la sua vita lo scrittore del Giovane Holden, Salinger – (in Virginia, o a Cornish, nel New Hampshire, non nella ricca e affollata Florida, sognata a sua volta dalla sventurata compagna di Connie, Corey – J. Jason Leigh –, ormai definitivamente alienata dal proponimento piccolo-borghese dettatole dall'onnivora idea di benessere della società consumistica). Un tempo felice per un ritrovato Eden impossibile.

Dopo la rapina fallita, il ferimento e l’arresto di Nick, Connie fa di tutto allora per liberarlo (la famiglia è senza genitori, ed è solo richiamata da una nonna – s’immagina, non impietosa – che incombe da lontano, vanamente vigile, come interlocutrice unica della loro vita disastrata), mentre la pellicola mantiene un’assai stretta unità di tempo e di azione, a parte l’introduzione e la chiusura dedicate all'ipocrita prigione psichiatrica che è stabilita da una legislazione del recupero liberal per Nick. Nel tentativo di ricongiungersi col fratello e sfuggire, Connie allora reagisce in una vorticosa concatenazione di persistenti primi piani e ristretti piani americani, che danno forma all'intreccio di varie serie di sequenze di affannata tensione: la forma, nonostante tutto, della voglia giovanile di liberazione, contrapposta al rispecchiamento di luoghi significativi ma inerti  - i grattacieli – della indifferente realtà del quotidiano insieme dell’oggigiorno. 

Robert Pattinson in Good Time - una scena del film: 452197 ...

Connie cerca dapprima il denaro per la cauzione con l’aiuto della sua compagna, e tramite un intermediario-usuraio e della sua efficiente segretaria (ora sono i neri, non più gli ebrei, le vittime privilegiate di questo mondo di sterminio dell’umano, che si avvale anche di scuri camuffamenti come quelli indossati dai due per la rapina). Poi, con tenace decisione, un po’ di fortuna e con furba gentilezza (sono numerosi i suoi “Dio vi benedica!” con cui si presenta per carpire la benevolenza degli altri più inermi), egli, di notte, penetra nella stanza dell’ospedale in cui immagina sia ricoverato il fratello, e invece, lo scambia con un altro, che porta via con sé: quasi un balordo, Ray, anche lui molto giovane, il quale, dopo essere stato ferito in uno scontro con la polizia giacché aveva violato gli arresti domiciliari, appare come una maschera irriconoscibile per gli interventi sul suo volto malmenato e poi malamente fasciato dai medici. E trova il modo di rifugiarsi, sempre nel sobborgo per lo più abitato da gente di colore, in una casa dove conosce una sedicenne anch’essa nera, naturalmente, che seduce per essere aiutato, mentre l’informazione televisiva in tempo reale (recupera anche, oltre quelle di luogo e di azione, l’unità di tempo) fornisce ininterrottamente notizie, prima, della rapina, e poi della fuga dall'ospedale. Con la macchina della ragazza arriverà infine a un parco giochi sexy per adulti, paurosamente deserto e sorvegliato soltanto da un uomo della security, perché Ray nel frattempo gli ha dato una dritta: in un capannone è nascosta una bottiglietta, di un certo valore, di acido lisergico. Ancora qui le incolpevoli vittime diventano la guardia e la ragazzina che è presa dalla polizia, mentre Connie e Ray riescono a farla franca, e a riparare nella casa occupata da quest’ultimo e da un suo sodale tra i grattacieli delle abitazioni popolari sempre della zona. 

Qui però essi litigano, Connie è arrestato dalla polizia che accorre alla chiamata dei coinquilini, e Ray, in un irragionevole tentativo di fuga, precipita dall'alto schiantandosi al suolo. Connie è ormai definitivamente in gabbia, sconfitto e impotente per sempre. Dal suo canto Nick è testimone d’accusa, solo attraverso la sua icona ferma e dolente, ingenuamente spaesata tra gli ultimi, dell’invasione intellettual-borghese – intrisa di ordinario cinismo – dell’ermeneutica delle metafore di routine tentate dalla terapia psicanalitica (“Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” o “Batti il ferro finché è caldo”): la psicanalisi, in sostanza, è asettico controllo medico, e, di fatto, complice a sua volta della violenza istituzionale esercitata dall'ordine costituito e dal carcere, perché incapace, nella sua consueta inerzia intellettuale, di aprirsi a un qualche cambiamento dello status quo degli infelici. Del resto anche Ray resta stritolato dalla oggettiva malvagità del sistema, e dalla sua stessa stupidità che gli si ritorce contro. Ecco le vittime: da un lato lo scarto sociale rappresentato dai piccoli delinquenti, i malati mentali, e, in carcere, i medesimi, abbrutiti compagni di pena; ma, dall'altro, anche i poveri di colore, i sofferenti, le loro famiglie, e tutta la gente che vive intorno, anonima e muta (non esclusa la madre di Corey, che invano tenta di resistere all'invasione di quello che reputa il male – una rapace povertà – con il suo perbenismo da tipica rappresentante del ceto medio). E i boia (inconsapevoli?): l’impiegata di banca – è una nera – che dà l’allarme, l’ineffabile terapeuta, i comuni rappresentanti dell’ordine e della giustizia. Tutti nello stesso inferno della società di un stanco ordinamento capitalistico che sa produrre solo alienazione senza limiti. Anche nel sogno del “Good Time”. 

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