Il nichilismo, da Machiavelli (l’oscena tragicità del potere) a Shakespeare (“La vita… è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori senza significato alcun!”), già appare nella letteratura a ridosso dell’esordio della modernità rinascimentale. E, più tardi, se conosce il suo culmine nell’“età della crisi” con scrittori come Poe, Dostoevskij e Kafka, nel cinema del Novecento ha un inatteso rappresentante in Alfred Hitchcock. La tesi illustrata da G. Canova nel saggio d’apertura del volume scritto a più mani Alfred Hitchcock.

Il cinema ai bordi del nulla (curato dallo stesso Canova per Skira, Milano 2019, e corredato da una sontuosa documentazione fotografica tratta dalla filmografia dell’insuperato maestro del brivido) si appoggia inizialmente su due temi fondamentali: il personaggio assente e il valore solidamente negativo di luogo centrale dell’immaginario hitchcockiano della camera da letto (Hitchcock, la camera da letto e il fascino del nulla, pp. 9-13). Nel primo caso valga per tutti l’esempio di Intrigo internazionale - North by Northwest, dove Roger O. (zero?) Thornill è scambiato per un personaggio che non esiste, George Kaplan (l’interprete è l’impagabile Cary Grant), nella storia di un conflitto interspionistico che gioca costantemente sulle vertiginose crisi identitarie. E, nel secondo, si tenga conto della camera di un hotel di San Francisco (La donna che visse due volte - Vertigo), “la cui insegna al neon verde lampeggiante proietta una spettrale luminosità verdognola all’interno della stanza e attorno al corpo fantasmatizzato” di Judy, trasformata da Scottie (il prediletto James Stewart) in Madeleine (in entrambi i casi, con fascino ineguagliabile, Kim Novack).

In Hitchcock la camera da letto è “luogo di infrazione e rimozione, di teatralizzazione e di simulazione, quasi mai luogo di accoppiamento e di seduzione” (fa eccezione, per un amore illegale, quella delle prime sequenze di Psyco - Psycho, con Janet Leigh): connesso, piuttosto, nel prosieguo d’orrore del film, “alla morte invece che all’amore, a Thanatos invece che a Eros”. “Ci sono più rituali di morte che feste d’amore nelle camere da letto hitchcockiane… luogo tabù. Luogo maledetto. Luogo dove l’amore si muta nel suo opposto”: si può dire, comunque, nel nulla. Come i grandi scrittori della “crisi” (“artisti dell’angoscia”, li avrebbe definiti Truffaut) Hitchcock condivide con noi, le sue ossessioni, al cui centro è inchiodato il peccato “cattolico” (il regista lo rende più che esplicito, tra l’altro, in Io confesso – I confess). E il frutto della Bestia che ci è dentro (cfr. Hitch e la Bestia. ovvero come Sir Alfred aveva paura dell’animale che è in noi, di Giorgio Gosetti, pp. 33-38, a proposito, tra gli altri, degli Uccelli – The Birds) ci obbliga a guardarci nello specchio, “e a vedere anche quello che non vorremmo vedere” (Canova).

Il nichilismo resta però “ai bordi” del nulla (senza precipitarvi) come recita il titolo del libro, perché forse alcuni eccezionali contemporanei del nichilismo rinascimentale (Erasmo, Cervantes) sin d’allora smorzano l’effetto deleterio della follia, la quale porta comunque spesso la passione a dare scacco pure alla lucidissima razionalità (ad esempio, per tornare al cinema hitchcockiano, La Donna che visse due volte – Vertigo). La razionalità, in questo cinema, è infatti altrettanto spesso non necessariamente strumentale (La finestra sul cortile – Rear window, Il Delitto perfetto – Dial M for Murder). A questo equilibrio, governato dall’ironia (“I miei film sono fette di torta, non fette di vita”), concorre peraltro, per il geniale “ciccione”, il paradosso idolatrico della bionda (cfr. La bionda, un delitto perfetto, di Piera Detassi, pp. 23-25). E ad esso concorrono anche l’arte del colore (per il color consciousness cfr. Appunti sul colore nel cinema di Hitchcock, di Elena Gipponi, pp. 39-43, e per l’“occhio cinematografico” di Hitchcock e “il potere evocativo delle immagini” derivato dal grande Edward Hopper, cfr. Hitchcock e l’arte, di Leonardo Capano, pp. 47-51), del montaggio, della fotografia (e – s’aggiunga – le musiche, di intensa, visionaria suggestione).

Si può chiudere però (con accenno anche agli ottimi Cibo e impostura: Hitchcock e l’atto di mangiare come dissimulazione, di Stefano Locati, pp. 27-29, e Un rapporto complesso: Hitchcock e Universal Pictures, dello stesso, pp. 54-55) tornando ancora al senso della follia e del dubbio (logos + caos), che Canova ritrova nel titolo originale dell’amletico North by Northwest, così evocato dall’eccezionale protagonista della celebre tragedia di W. Shakespeare: “Io sono pazzo solo quando spira il vento nord-nord-ovest. Con la brezza del sud so distinguere un airone da un falco”. Al posto dei riferimenti magari banalmente logistici che circolano talora per i dizionari.

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