Archipel, Fireworks, Stella Maris, I Santi, sono solo alcuni dei cortometraggi di Giacomo Abbruzzese, che hanno preparato il terreno all'occhiuto, eterocromico Disco Boy. Come dire: alle soglie del sogno; un cinema che si nutre dell'avventura umana, dei corpi, dell'amore, la musica, per affacciarsi sullo sfondo luminoso, sognante del cinema che può quasi emendare anche il panorama devastato della Palestina (Archipel, 2010, film straordinario).
Il meccanismo di questo "cinema breve" sembra costante: l'oscillazione tra la realtà più ruvida, il sopruso, la sofferenza della sopravvivenza in una realtà solida, ottusa, e la sublimazione della vita dentro le possibilità immaginative offerte dal cinema, la musica, ecc.. Così Fireworks, così concretamente concentrato sulla realtà cangerogena dell'ILVA di Taranto si sublima nella scena finale, nei fuochi immaginari e in un amore senza tempo. Ecco, la risoluzione coreografica, la composizione di un'immagine di poesia.
Ma non solo questo: la sublimazione è anche verso la politica, che è uno dei conduttori di Disco Boy. Allora sia Stella Maris si risolve nel surreale smussamento della durezza del sindaco, come uno scioglimento della ruvidità dentro la sostanza dell'acqua, del mare; mentre I Santi propongono un che di beffardo che inneggia alla vita, qualcosa come una rivoluzionaria derisione della provincia, dell'assenza della politica, della società.
Il tutto con delle soluzioni iconografiche essenziali, esatte, mai sopra le righe.