«[…] Come dalla vicenda infaticabile

De le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale

Dentro il vico marino in alto sale, . . . . . . .

Dentro il vico chè rosse in alto sale

Marino l’ali rosse dei fanali

Rabescavano l’ombra illanguidita […]»

(D. Campana, Genova)

Le altre vite sulle quali nessuno veglia sono il via vai delle onde dentro la notte, nel suo «incanto», trascinando ferraglie nell’acqua: andando a ritroso, uomini in fila come il moto del mare, ombre di uomini, «invisibili», riversati nelle strade come fiele, amaro. Crolli, pietre cadute. Archi nella luce stanca di un altro mondo: che cammina, andando in quelle vie, a battere i pugni, digrignando i denti, aspro, ruvido desiderio di vivere.

I vicoli di Genova scenario incerto, sgranato, fanno da ancora ad un amore lontano, voluto, ritrovato; non importa che cosa sia questo amore, come. Importa documentare, tenere a mente, testimoniare che l’amore salva. Pietro Marcello mescola i generi, le tecniche, anticipando il linguaggio di quel Martin Eden che precipita, consapevole che niente può essere ancora desiderato perché se ci fosse qualcosa ancora da desiderare allora sarebbe lei; qui invece la vita prevarica, investe l’oscurità, perde senso senza l’altro accanto. «L’archeologia della memoria» è la ricostruzione di una storia qualunque, una storia che vale d’essere vissuta, nella sua incongruenza, nelle voci che graffiano, nelle parole che raccontano, che legano, che sopravvivono. La forza bruta del passato che resiste si trasforma. Il bisogno primario di non essere soli in questa fase della produzione del regista è ancorato alla salvezza della cura, del prendersi cura.

La bocca del lupo è un inno alla certezza del sole, dopo tanto buio. Così si torna al mare, prima che i titoli di coda sfumino questo giorno ritrovato nel dolore, ad aspettare che venga la sera al chiarore del fuoco, che trema, si torna: ai passi dei bambini, delle donne sulla riva.

Tags: