risultati per tag: Bertrand Mandico

  • Già al tempo dei Rencontres d'après minuit (2013) di Yann Gonzalez ipotizzavo l'inizio, così incerto, forse del tutto sognato, di una sorta di poetica - evanescente, appannata, sfumante nel prorpio originario niente - del sogno, nei primi anni Dieci di questo nuovo secolo, quando del resto già Héléna Klotz aveva presentato a Berlino L'Âge atomique(2012) ed evocato il notturno, traslucido palpaitare della giovinezza in corpi così senzienti, dolenti, anelanti alla propria pienezza, alla propria estasi, da non reggere a questo peso e trascolorare in fosforescenza, veglia, lacrima brillante, cioè in musica, nell'ondeggiare dei synth, del dream pop, dell'elettronica eterea, malinconicamente retro.

  • Il cinema di Mandico (autore di un unico lungometraggio, più una serie paratatticamente compatta come un fregio fluorescente, di corti e mediometraggi) postula e mima, in un detour ansioso e continuo, movimenti di discesa nel profondo e, per questo, si serve di una “camera stilo” che permette visioni internali “per contatto” come si farebbe togliendo dal niveo braccio di un angelo un guanto parecchio aderente (e non era un guanto ad ossessionare Breton in Nadja? E non erano guanti di plastica quelli che Heurtebise aveva regalato a Orfeo per fargli attraversare lo specchio?), feticismo dell’estremità che diviene immagine-calco del braccio perduto. Quali immagini, questo dispositivo microscopico e fantasmatico, filmerebbe? Sarebbero a colori o in bianco e nero? Affiorerebbero figure o osserveremmo particelle, muffe, pulviscoli come in un quadro dell’ultimo, cosmico, Kandinsky? Il piccolo dispositivo di ripresa non diventerebbe, allora, sottomarino del capitano Nemo, che proprio da un boccaporto assisteva alla fioritura di un paesaggio d’altrove?

  • Corpo totemico dell'instabile universo pan-sessuale genito da Bertrand Mandico è l'immancabile Elina Löwensohn, Valentina, Barbarella dei tempi nostri, che con la sua presenza fisica attraversa tutto l'universo mandichiano conferendogli con la carne reale una sorta di continuità ontologica sul piano immaginativo, avvertibile al di là delle diverse identità sceniche che assume.

  • «I sogni sono la letteratura del sonno. Anche i più strani coinvolgono dei ricordi. Il migliore di un sogno evapora il mattino. Rimane...il fantasma di una peripezia, il ricordo di un ricordo, l'ombra di un' ombra.» (Jean Cocteau)

    Quando ci si immerge nel cinema di Bertrand Mandico è un dolce inabissarsi, uno smarrimento ipnagogico che precede la catarsi nella vertigine onirica; si apre il velluto purpureo del sipario e il palco si anima di creature fantastiche, ibridazioni fantasmagoriche, piante carnificate e fiori eroticamente sensuali, il maschile e il femminile uniti in un unico genere, dove il corpo anelante è l’unico protagonista.

  • È già da qualche anno che in Francia si fa largo un cinema fulgido, fiammante per quanto laterale - una specie di acrocoro animato da iniziati, da dei mistici scapigliati o altrimenti imbonitori della mise en scène - che si può definire “dream-cinema” oppure, per restare alla lingua d'origine, “cinéma-rêve”: un regime di sopra-realtà, di personaggi sonnambolici, lirici, vaganti come spettri in teatri di posa, in prosceni spogli, di cartone e anditi ingombri di chincaglie, o al contrario sgangherati, furenti, ridicoli nei loro eccessi e nelle loro pose, che avanzano, magari attraverso le strettoie di Parigi lasciate aperte nel mezzo dell'ingombro, del peso della realtà.

  • La nuit c'est l'oublié du jour

    Pace non cerco, guerra non sopporto
    Tranquillo e solo vo pel mondo in sogno
    Pieno di canti soffocati. Agogno
    La nebbia ed il silenzio in un gran porto
    […] La vita è triste ed io son solo
    O quando o quando in un mattino ardente
    L'anima mia si sveglierà nel sole
    Nel sole eterno, libera e fremente

    (Dino Campana, Poesia facile, in Il Quaderno)

    La notte è sembianza del giorno. Rimembranza. Ricostruzione e rivitalizzazione del giorno in un altro universo di simboli e significati. Essa non appare come la fine di tutto, come un sonno in cui non c’è dato «essere», creare, agire, dunque vivere, figurando invece l’inizio di una nuova esistenza, di un cosmo che transita, scorre, sopra le cose del mondo e nel cui corso – durante il sogno, la veglia, oltre la mezzanotte dei sensi – è possibile l’incontro, l’amore, la soddisfazione di aneliti inappagati. E se si è poeti affinché si riesca a “doppiare” la vita nel senso (duplice) che ha il termine, riproducendola e allo stesso tempo andando più in là, sperimentandone diramazioni e aperture, si stanno facendo largo, in una certa frangia di cineasti europei, alcune visioni estreme, radicali, dirompenti e distanti da un codice prescritto ma prossime ai generi (e al genere) e non dissimili da quest’idea di poetica.

  • C’è un doppio sguardo, frantumato dal taglio netto sulla dualità del soggetto, sovrapposto sul fascio di luce arrivato dall’alto, pure specchiato, che è di Hannah Höch nel suo Autoritratto con Crack (1930, Berlinische Galerie), al quale si ha l’impressione di poter accostare l’idea di cinema di Bertrand Mandico – astro nascente di una nuova tendenza francese, consacrato dai «Cahiers» – nelle specificità tecniche che gli sono proprie: metafora à rebours di un discorso sull’arte che riflette su di sé, sulle possibilità e sugli strumenti che ad essa sono connaturati; paradossale, vibrante, intensivo dream workche era stato delle avanguardie, ora reinterpretato nelle modalità dissacranti del ghigno, o del balbettio, quando non afasia, oppure al contrario dall’urlo, dal fluire emorragico, metafilmico, di liquidi che tingono lo schermo, del graffio furente sugli occhi.

  • Già al tempo dei Rencontres d'après minuit (2013) di Yann Gonzalez ipotizzavo l'inizio, così incerto, forse del tutto sognato, di una sorta di poetica - evanescente, appannata, sfumante nel prorpio originario niente - del sogno, nei primi anni Dieci di questo nuovo secolo, quando del resto già Héléna Klotz aveva presentato a Berlino L'Âge atomique(2012) ed evocato il notturno, traslucido palpaitare della giovinezza in corpi così senzienti, dolenti, anelanti alla propria pienezza, alla propria estasi, da non reggere a questo peso e trascolorare in fosforescenza, veglia, lacrima brillante, cioè in musica, nell'ondeggiare dei synth, del dream pop, dell'elettronica eterea, malinconicamente retro.

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