Sembra darsi nel senso della perdita, il primo lungometraggio del regista libanese Nadim Tabet, nel sole che si accascia mentre i muri si scrostano e si riardono, in un tempo perduto: lo dicono gli occhi affossati dei protagonisti, le loro voci fuori campo che arrivano a slargare le inquadrature sulla città o a rinvenire da un grumo di memoria attimi trattenuti in fotografie analogiche; non solo simulacri di ricordi, ma ricordi esse stesse, corpi di pellicola, di pelle, che su di sé conservano il segno della luce, del tempo.

 

L'immagine, allora, ne appare come commossa; si sviluppa in toni crepuscolari (nell'eco di un verso di Rimbaud sussurrato contro il cielo), trova respiro proprio in questo suo trascorrere, che il regista accompagna con un giro di giostra arrugginita, con il cigolio di una chitarra lontana. Il presente di One of These Days è insomma già nostalgia. E il futuro diventa un tempo lento a venire, anche quello del Libano, di Beirut: i tumulti che dovrebbero catalizzarlo si spengono in ronzio intermittente, le manifestazioni sono colte già sul loro finire, fra plotoni di folla sciolti e bandiere fiacche - e delle macerie che, in Le Liban en Automne, Tabet si lasciava alle spalle in un piano sequenza indietreggiante fra i vicoli della città, restano le tracce in un pulviscolo di dolore posato sui profili dei palazzi, sullo sfavillio di una giovinezza che vuole continuare a gioire ed amare.

Ed è in questo vacillare fra cicatrici aperte che si potrebbe pensare a One of These Days come progressione verso una cromia più smorta di quel cinema impressionistico, applicato alla rivelazione della giovinezza, che coinvolge anche un film come Call Me by Your Name: in Guadagnino la pellicola s'impastava fra la resina e il seme colante in mucose di pesca, per poi accarezzare i corpi fremendo di desiderio; scopriva l'altro e chiedeva all'estate, agli orizzonti di prati di conservarne il sapore anche quando tornava alle labbra nel solco di una lacrima.

Ora, invece, evaporano persino le lacrime, e con loro l' innocenza dei primi brulichii sentimentali. È autunno, la natura foglia che scricchiola sotto il corpo inerme di Maya deflorata a labbra serrate, mentre appassiscono i suoi sogni d'amore (semplice, forse fittizio perché non si misura con la coscienza della distanza) coltivati nel candore delle lenzuola; quello dell'altro un corpo già succhiato, amato - d'un amore che Rami e Yasmina portano nei loro tatuaggi, abbracciati nell'amplesso che si tinge di fluorescenze ghiaccio nel quadrato di un bagno.

Eppure (oltre i relitti di questo quotidiano che finché «non imparerà dalla sua storia sarà condannato a ripeterla», dice Fouad con le parole del Manifesto) resta la speranza di potersi rivivere, nello spazio di un avvenire condensato in uno sguardo.


Filmografia

Call Me by Your Name (Luca Guadagnino, 2017)

Le Liban en Automne (Nadim Tabet, 2006)

One of These Days (Nadim Tabet, 2017)

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