Matteo Marelli

Piero Scaruffi è del parere che il gruppo musicale degli M83 ha saputo coniare «un linguaggio […] che è insieme etereo e minaccioso, barcollante ed abrasivo, celestiale e tenebroso, spirituale e violento, leggero come una piuma e pesante come un masso». Un definir per contrasto che ben si confà anche allo stile registico di Yann Gonzalez, caleidoscopico come una sonata barocca.
Al di là delle affinità formali bisogna aggiungere che il regista de Les rencontres d’après minuit, caso mediatico dopo la prima alla Semaine de la critique del Festival de Cannes 2013 e miglior film alla 18esima edizione del Milano Film Festival, è il fratello di Antony Gonzalez, fondatore, insieme a Nicolas Fromageau, del duo elettronico francese. Dunque si può dire di una consanguinea sensibilità stilistica declinata  in differenti universi espressivi.

Yann Gonzalez prima del suo esordio cinematografico, avvenuto con il corto By the Kiss,  selezionato in diversi festival internazionali inclusa la Quinzaine des Réalisateurs del 2006, è stato critico cinematografico per le riviste di Max, Têtu, e Vogue.
Autodidatta, formatosi ai corsi di Nicole Brenez alla Sorbona-Paris 1, Gonzalez affina e fa conoscere il suo stile attraverso una serie di cortometraggi, come Nous ne serons plus jamais seuls con cui partecipa al Festival di Locarno 2012. Già da questi lavori è evidente che si è di fronte a un cineasta di grande teatralità che concepisce lo spazio filmico come un involucro meraviglioso in cui far convergere e fondere gli ingredienti più disparati e gli artifici più vertiginosi. Particolarità che diventano vere e proprie qualità registiche in Les rencontres d’après minuit, suo primo lungometraggio segnalato da i Cahiers du cinéma tra i 10 miglior film del 2013.

Il film è un astratto Kammerspiel purificato da ogni scoria icastica, “cinema da camera” che si tramuta in wunderkammer, scrigno di fantasmagorici e stilizzati eccessi visivi.
Tutto gira attorno a un orgia mancata, che è pretesto necessario per vivificare un amore mannaro dall’epilogo triste, come tutti gli ammalati del demone meridiano sanno. È una danza silenica di creature diafane, fantomatiche che ululano le loro tragicomiche perversioni alla luna: deliri visionari che rendono manifesta la dimensione segretamente sacrificale dell’edonismo. A condurre il girotondo una domestica-travesta, mistagoga di iniziazioni erotiche, medium tra il mondo solare e quello notturno.
Non c'é proprio una storia; forse una metastoria, ad essere eufemici. Di certo c'è che in questo film non si incontrano mai materiali autentici, ma solo riprese, citazioni, rimandi. Un’iperrealtà in cui ogni residua naturalità del mondo è schiacciata da un accumulo di segni espropriati di referente certo.
Les rencontres ha un afflato epico, perché è la narrazione essenziale di una comunità, una polifonia di voci in cui i personaggi duplicano continuamente sé stessi perché protagonisti dei loro racconti onirico-allucinatori, cronache distorte poiché personali, legate al ricordo e quindi soggette a manipolazioni e apparenze.


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