Michele Sardone
Un ragazzo getta in una piscina una figura in cartonato, ad altezza naturale, di una bellissima ragazza nuda e la contempla per qualche istante, mentre lei galleggia a pelo d'acqua; il ragazzo, in piedi sul trampolino, si denuda e si tuffa pure lui, abbraccia e bacia l'immagine di lei e se la porta a fondo con sé: di colpo siamo sott'acqua insieme a loro, e scorgiamo le gambe della ragazza fluttuare sinuose, e i suoi capelli muoversi tentacolari...
È una delle sequenze più belle di Deep End (tradotto atrocemente qui da noi in La ragazza del bagno pubblico, 1970) capolavoro di Jerzy Skolimowski, e si potrebbe ritrovare ben descritta in essa l'ossessione cinematografica del grande regista polacco: cercare sempre il corpo a corpo con l'immagine (lui, tra l'altro, è stato pugile amatoriale), facendo risaltare la fisicità del vedere, il doloroso piacere (o il piacevole dolore, è lo stesso) della visione folgorante. Il pixel nero, bruciatura dell'immagine digitale nel suo ultimo 11 minut, ha così una valenza simile a quella dell'ustione su pellicola nel nouvelle-vague Le départ (Il vergine, 1967, secondo la pruriginosa traduzione italiana) e ritorna in ogni suo film: l'insostenibilità della visione che brucia il supporto che dovrebbe rifletterla, perché il desiderio solo immaginato che finalmente si fa carne, sotto forma di donna, è impossibile da rendere se non, appunto, trasmutando la materia sulla quale viene impresso.
In un buco nero simile sembrava essersi perso lo stesso Skolimowski, a nuoto in una piscina senz'acqua, incagliato come la nave di The Lightship (1985), per poi riemergere 17 anni dopo La chiave della trentesima porta (1991, da un romanzo di Gombrowicz) inanellando tre perle: Quattro notti con Anna (2008), Essential Killing (2010) e il già citato 11 minut (2015).
Il primo è un film notturno, labirintico e spiraliforme come i movimenti di macchina lungo i quali scorre, e al tempo stesso è un film centripeto, cioè tutto concentrato in un luogo, una stanza, dove non avviene nulla, se non appunto l'accadere della visione del desiderio (ancora una volta, con le sembianze di un corpo di donna) e il procrastinare del contatto fra due immagini e due forze che non possono toccarsi senza far esplodere tutto. Il secondo, Essential Killing, è pure un film claustrofobico, nonostante sia ambientato prevalentemente in esterni: è lo scenario selvaggio, infatti, a ricoprire il ruolo di ossessivo inseguitore di Vincent Gallo, non più con la funzione classica di sfondo indifferente delle vicende umane, ma come mondo incarnato e in lotta, corpo a corpo, con l'uomo, come lo abbiamo costruito e immaginato noi, a nostra somiglianza. E infine 11 minut, film che cerca di ridare corporeità all'eterea immagine digitale, alla sua pretesa di essere intangibile perché eterna e sempre identica a se stessa, non marcescente come la pellicola. L'occhio insegue spasmodico l'immagine, potenzialmente riproducibile e scomponibile all'infinito, attraverso il moltiplicarsi dei tempi e dei luoghi, sezionandola pixel per pixel, fino a trovare un'unica piccola imperfezione, e a far esplodere tutto, ancora, in un'accecante e bruciante visione.
La proiezione del film 11 minut si terrà giovedì 25 febbraio alle ore 20:30 presso il Cineporto di Bari (Lungomare Starita, 1). La proiezione sarà a ingresso gratuito fino a esaurimento posti e in streaming con i Cineporti di Lecce e Foggia.
Saranno presenti in sala il regista Jerzy Skolimoski e i critici Margherita Furdal, Roberto Turigliatto e Lorenzo Esposito. Introdurrà Luigi Abiusi.
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