enrico ghezzi
Non è una figura rara quella del cineasta con la benda sull’occhio, parallela a quella del soldato – regolare o di ventura – che l’occhio l’ha perso in battaglia. Più raro è un cinema che rappresenti la forza paurosa dell’unico occhio di Dio, l’occhio al cui interno non vi sono differenze se non tra gli oggetti ripresi, il cinema. Nell’horror la figura di Dio creatore o normalizzatore (e quindi creatore di mostri...) è frequente, ma sempre (vedi Fisher) in una dialettica tra natura e cultura, tra scienza e corpo, tra natura e sopra-natura. Nel Circo degli orrori (che pure in certo senso ripropone il tipo dello scienziato pazzo) ogni dialettica è abolita, è un unico occhio (quello del grande “chirurgo”) che vede con piacere il “male”, lo “sfigurato”, l’orribile, e che poi (tramite operazioni significativamente quasi del tutto fuoricampo, in un film eroticamente ben più “audace” rispetto ad altri film del periodo) reintegra il corpo, lo appiana, lo normalizza, lo possiede.
Dio si manifesta nel mondo per venire insieme a guardare sadicamente le ferite che vi sono aperte (così la bimba che verrà operata subito all’arrivo in Francia ha il volto devastato da un’esplosione di guerra), e a rimarginarle, a suturare tutto con il gesto risanatore che riproduce un corpo da vedere. I rapporti dei due aiutanti con il chirurgo indicano che non si tratta di un semplice superuomo nietzscheano o di un Unico stirneriano, ma di un Maestro cui restano legati loro malgrado, un Dio sempre oscillante tra il benevolo e il vendicativo e col quale ci deve essere stato un Patto millenario dopo esserne stati creati. E il patto è continuamente risuggellato dallo sguardo di Anton Diffring, che si distingue per occhi penetranti e “cattivi”, freddi e allucinatori.
Sguardo che risana e uccide (non sono i suoi occhi a imporre all’aiutante di eseguire materialmente i crimini all’interno del circo?). un Dio voyeur, che si ferma a veder dilaniare un uomo da un animale. Ma anche un Dio hitleriano che dall’Inghilterra (!) comincia a percorrere l’Europa per costruire col circo una società di bellezza e ardimenti, dalla quale nessuno deve né può uscire se non morto. Il circo inferno paradiso mondo, popolato dai volti più mostruosi, potenzialmente osceni proprio perché ora “risanati”, ritagliati ricuciti suturati. Si vede bene che la minaccia incombente su ciò è un nuovo smascheramento, un nuovo intervento sulla pelle, sulla carne, questa volta distruttore; le belve che sfregiano il Maestro e l’ultima bellezza forgiata da lui, lo obbligano a sottoporsi a un nuovo auto-intervento eseguito dagli aiutanti: ma essi, già rivoltatisi, gli strappano i bendaggi, lo sfigurano per sempre, guardano il volto orrendo del basilisco. E la Sua morte arriva puntuale per mano della sua stessa pecca originaria, il primo volto non suturato, l’errore che viene ad uccidere l’autore ora ridotto alle stesse condizioni: i due volti di medusa si incontrano alfine. La struttura del poliziesco si dimostra fallace, in quest’horror tutto “spiegato”. L’horror, già nel titolo, diventa oggetto di se stesso, nel film che più lucidamente lo separa dal “fantastique”.
Il cinema non è innocente, lo spettacolo è sempre di mostri anche quando è spettacolo di bellezza e di armonia (perché il mostro è il cinema); un occhio si è chiuso per sempre, inghiottito dall’Altro che può darsi Scandalo e assorbire lo scandalo. Nel rifiuto rigoroso di trucchi eclatanti o di esplosioni visive, Il circo degli orrori ripete la sottintesa etica puritana dell’horror; c’è p. es. – dentro all’inquadratura – più sesso che in altri film del “genere” (e dell’epoca-primissimi anni Sessanta), ma nulla anima mai la secchezza della regia, neanche la disinvoltura diegetica un po’ folle del récit. Fuor d’ogni umanismo, si riguadagna la secchezza dei grandi Hollywood (Ford Hawks Mann Boetticher), per cui ogni follia può dipanarsi e avvenire entro i margini dell’occhio sovrano che – macchina – non corre neppure il rischio d’essere più strappato – o il suo volto dilaniato (anche se l’occhio di Walsh offeso dal puma..).
Il sangue del vampiro si allaccia invece al sottogenere indicato nel titolo, e ne ripete i colori e l’economia registica inglese del periodo. Ma si dice che Henry Cass (l’autore) sia poi impazzito di follia ultracattolica, tentando anche di bruciare i propri film. Non ci si stupirà, se si pensa che Il sangue del vampiro è l’unico film rigorosamente ateo tra i tanti dedicati al tema. Il quadro tipico e tradizionale anche sul piano figurativo aiuta a riconoscere i mutamenti. Il vampiro e signore del castello non è un vampiro, ha bisogno di sangue per una malattia provocatogli dal fatto che – creduto vampiro – era stato come tale giustiziato.
È quindi in realtà uno scienziato, e il suo contraltare – la scienza del giovane medico – è più impotente di lui, destinato a soccombere infatti se proprio il servo orrido e maligno ma innamorato non si ribellasse al Padrone (fatto inaudito!..). solo un insieme di “casi” permetterà la soluzione “positiva” dell’intrigo, non c’è conflitto se non tra situazioni e individui. Non c’è separazione assoluta tra il Castello e la Città civile; il castello è anzi la prigione della città, una sua appendice inestirpabile; tra la Legge (che sbaglia) e lo Scienziato che “trattato” come Vampiro diviene davvero “tecnicamente” tale nonostante la sua Scienza, e lo Scienziato buono, nessuno riesce a imporsi in virtù di un potere suo. Nulla se non la convenzione fa sì che dilaniato dai cani finisca ancora una volta lo scienziato folle invece del protagonista.
La più bella sceneggiatura di Jimmy Sangster, e un film su cui ritornare puntualmente. Da proteggere dall’ira del regista, che si è accorto di aver dato tutto il potere al Cinema, ben al di là delle convenzioni; senza mettere in scena alcun conflitto, senza sacrificare a nessun soggetto che non fosse il solito occhio impassibile e qui assolutamente esterno, senza a concedere a nessuno la sua parte di Dio.
Questo contributo, originariamente pubblicato su «Filmcritica» n° 238, è qui proposto per gentile concessione dalla casa editrice Bompiani (il testo fa parte della raccolta Paura e desiderio. Cose (mai) viste. 1974-2001) © 1995/2016 Rizzoli Libri S.p.A. / Bompiani.
Corpi deGeneri
enrico ghezzi a "Registi fuori dagli sche(r)mi"
[propedeutica al morso]
Prima di incontrare Ana Lily Amirpour e vedere A Girl Walks Home Alone at Night, una master class itinerante condotta da enrico ghezzi e Luigi Abiusi nei CINEPORTI di PUGLIA:
30 maggio, dalle 18,30, c/o Cineporto Foggia (Via San Severo, KM 2,00)
31 maggio, dalle 18,30, c/o Cineporto Bari (Lungomare Starita, 1)
1 giugno, dalle 18,30, c/o Cineporto Lecce (Via Vecchia Frigole, 36)
Programma
ore 18.30 / Proiezione del film
Il sangue del vampiro (1958)
di Henry Cass
ore 20.30 / Master class
"egh sui(no)generis - la vita (ri)succhiata: cannucce"
intervengono: enrico ghezzi, Luigi Abiusi
ore 21.30 / Proiezione del film
Burying The Ex (2014)
di Joe Dante
Ingresso libero fino ad esaurimento posti.