Irene Dionisio, classe 1989, allieva di registi diversissimi fra loro come Daniele Segre, Alina Marazzi e Marco Bellocchio, vanta, nonostante la giovanissima età, un'intensa attività documentaristica. Parte integrante di quella nuova onda del cinema del reale che da quasi due decenni a questa parte ha riscritto una buona parte del cinema italiano, ha saputo e voluto e affrontare il passo verso la cosiddetta finzione con grande determinazione e precisione. Formatasi ascoltando e captando il vocìo di una realtà post-industriale come quella di Torino, Irene Dionisio ha saputo coglierne contraddizioni e complessità tentando contemporaneamente di trovare modulazioni di sguardo in grado di cogliere anche cinematograficamente il suo desiderio di raccontare il mondo che la circonda.
Il cinema della Dionisio, infatti, segna uno stacco netto rispetto al cosiddetto cinema dell'impegno delle generazioni precedenti.

Pur animato da una fortissima spinta etica, quello della Dionisio è un cinema non dogmatico. Priva degli automatismi ideologici di quanti approcciano il reale e il cinema con soluzioni preconcette, la Dionisio ha saputo accogliere nel suo cinema le ambiguità e le complessità di un mondo nel quale i rapporti fra forza-lavoro e trasformazioni sociali si sono manifestati con forza devastante, tentando di concentrare il suo sguardo sulle modalità con le quali i fenomeni si danno, piuttosto che tentare di ingabbiarli in sguardi e letture date.
Ed è proprio questo sguardo, teso fra stupore e precisione, racconto e  documentazione, a fare la novità del cinema di Irene Dionisio.
Un cinema che se da un lato dichiara fieramente la propria vocazione documentaria, dall’altro non teme di confrontarsi con la grande commedia umana della lezione del neorealismo.
Un cinema, ancora, che pur consapevole di tutto quanto lo precede, dichiara con grande coraggio il proprio desiderio di essere altro.
Ed è in questa discontinuità che il cinema di Irene Dionisio riesce a darsi contemporaneamente sia come prosecuzione del grande discorso del cinema italiano che come sua potente messa in crisi.

Le ultime cose, esordio nel lungometraggio di finzione della Dionisio, nel suo schema narrativo a mosaico, immagine speculare della frammentazione di qualsiasi ipotesi di unità della ricchezza del paese e di quella che una volta era la classe operaia, all’ombra di un banco dei pegni, monolite del neocapitalismo, mette in scena un mondo lontano dai racconti ufficiali.
E per farlo tenta anche, con notevole determinazione, di pensare i nuovi rapporti che inevitabilmente si producono fra immagine e corpi e racconto.
Nell’orizzonte di un racconto trasparente, la Dionisio tenta, con successo, di insertare elementi di discontinuità rispetto alla tradizionale linearità di sceneggiatura, rifiutandosi di allacciare tracce narrative, scegliendo la sospensione come segno di un conflitto duraturo e insolubile.
Le ultime cose, dunque, si offre come un’ipotesi credibile e accettabile di “nuovo” cinema italiano.
Un film in grado di porsi in paradossale continuità discontinua con la tradizione del racconto sociale italiano, accogliendo dal cinema del reale quelle aperture e frammentazioni inevitabili per ipotizzare la possibilità di uno sguardo più attento e credibile.



 

Le proiezioni del film Le ultime cose si terranno giovedì 20 ottobre alle ore 20:30 presso il Cineporto di Bari (Lungomare Starita, 1) e venerdì 21 ottobre alle ore 20:30 presso il Cineporto di Foggia (Via San Severo, km 2,0).

Saranno presenti ad entrambi gli incontri la regista Irene Dioniso e i critici cinematografici Giona A. Nazzaro e Anton Giulio Mancino. Introdurrà Luigi Abiusi.

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