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  • Per lo più, il dibattito intorno a L'Événement di Audrey Diwan, vincitore del Leono d'oro all'ultima Mostra di Venezia, si sta svolgendo intorno alla tematica, al cosa, il referente che viene espletato dalle immagini, mai intorno alla forma, al come la regista vede e mostra le cose, al suo sguardo, il gesto tutto cinematografico, che è tutto appunto, "la cosa ultima" del cinema, l'atto di aprire gli occhi e guardare le cose in un certo modo.

  • I film come Ariaferma, densi, spessi, stratificati come murature, tutti in preda a una dialettica interna che sfuma, anzi trascende verso il riverbero, il bisbiglio, il sibilo segreto, terreo, tufoso delle cose, tra le cose, tra i volumi, metri cubi di spazio (cinematografico); si sedimentano nel tempo, detriti di materia immaginativa – già all'inizio, il costone, la nebbia, il canto corale che s'espande vaporoso, cioè gli elementi costitutivi dell'immagine –, caduti dai muri scalcinati e depositati nel tempo, e non smettono di dire, di risuonare anche dopo le prime visioni in sala.

  • Abbarbicato agli schermi, alle sale, al terreno accidentato dell'offerta cinematografica di questi ultimi tempi, proprio come una capra che s'aggrappi a un costone o stia in piedi, ritta, fiera, su un tavolo Il buco, vincitore del Premio speciale della Giuria all'ultima Mostra di Venezia, non manca di far sentire ancora la propria presenza sulla scena cinematografica italiana oltre che su quella internazionale, essendo stato atteso peraltro per undici anni da chi nel 2010 restò folgorato dalle Quattro volte.

  • Mi sono perso i primi giorni del festival. In compenso quest'anno sto a Sant'Elena, che è una specie di eremo malinconico, immagine compiuta dell'autunno - io penso che se esiste un luogo, uno spazio, con le sue superfici, i suoi miasmi, i suoi riflessi lunari, che incarni il tempo, l'autunno in modo pieno, istantaneo, quello è Sant'Elena - dove si ha nostalgia di ogni cosa e già scricchiola l'ossame, il giallo carcame delle foglie sotto le suole e nei sobbalzi del vento: sulle panchine, tra i muschi vegetanti nei pori, nei nidi già marci del legno e il barbaglio degli attracchi, lo stridio del silenzio trama segretamente col rantolo macabro dei fantasmi vaganti al vento, e allora si sente un oscuro presagio d'eternità, cioè di precarietà, che rimbomba tra i muri e le barche ammorrate.

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