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  • Pubblicato per la prima volta nel 1967 e ripubblicato postumo nel 1995, Germania segreta di Jesi ritrova una nuova veste editoriale a cura di Andrea Cavalletti nel volume che qui recensiamo, il quale accoglie anche interessanti materiali inediti in appendice.

  • A proposito di immagine. L’artista austriaco Egon Schiele, il cui taglio espressionista incide in copertina un particolare del Sole d’autunno e alberi, staglia su carta e inchiostro una premessa di passi, nella tensione della direzione chiaroscurale verso l’alto, e subito la inghiotte nella catabasi della distesa bruno-dorata delle foglie cadute, del «foliage» cangiante; già qui l’avvertimento che ci troveremo dinanzi ad una apparente contraddizione, anticipata da quella scelta, di dare avvio all’opera nella compresenza di motivi impressionisti e di fughe d’espressione più intense, dispa(e)rate: l’intuizione che la misura della vertigine si dà tutta in quelle linee che convergono – che divergono – sulle zolle e sui rami brulicanti.

  • Giacomo Debenedetti è stato uno degli intellettuali più acuti del Novecento italiano, primeggiando soprattutto nell’ambito della critica e della saggistica letteraria: ha attraversato tutta la prima parte del secolo, approdando infine alla stagione degli anni ’60 con un valore di risultati che, di fronte alla scandalosa sottovalutazione dell’Accademia, ha saputo produrre una lettura tra le più puntuali e appropriate della vicenda complessa del suo tempo. Il codice interpretativo dei grandi scrittori e poeti contemporanei a lui dovuto risulta forte – con eleganza e passione che restano integralmente letterarie – degli inputderivati da una cultura anche esplicitamente extraletteraria, dalla psicanalisi alla filosofia, dalla politica alla storia, dalla sociologia all’antropologia, e così via. Il bacino di formazione di questo atteggiamento cognitivo – che comunque non ruppe mai con i fondamenti dell’estetica di Croce – fu senz’altro determinato dalla spinta modernistica del pensiero gobettiano (e gramsciano) negli anni ’20, e da quella delle riviste giovanili che si seppero ispirare alle idee della “rivoluzione liberale”. La molteplicità d’interessi per il coraggioso arricchimento dell’orizzonte culturale italiano si aprì così, in quella fase, ad ambiti fino ad allora inesplorati da parte della migliore intelligenza nazionale.

  • La recente monografia sul regista di Pozzolengo, edita sull’ultimo numero del Quaderno del Cinemareale(novembre 2018, anno III, N. 3), accoglie visioni screziate su un’opera che si presenta unica, originalissima, assolutamente costitutiva di un modo di fare cinema che è modo di guardare, di esistere e di stare al mondo. La prassi della creazione, che passa per la scrittura, per l’esperienza sensoriale delle riprese e poi anche per il costituirsi progressivo delle scene, porta alla luce tutto un dispositivo in divenire che si mostra attraverso le ri-costruzioni critiche e di poetica sia degli autori che dello stesso Piavoli.

  • Sono tutti in vario modo interessanti, e di proficua lettura, i saggi contenuti nel recente volume edito da Ombre Corte, L’insorto del corpo. Il tono, l’azione, la poesia. Saggi su Antonin Artaud (a cura di Alfonso Amendola, Francesco Demitry e Viviana Vacca): interessanti ma non esenti (salvo qualche eccezione) da un certo manierismo.

  • C’era una volta il cinema equivaleva per Sergio Leone a “c’era una volta il mito del cinema”. Il racconto della non lunga vita dello straordinario reinventore poetico del sottogenere spaghetti-western è un cordiale e minuzioso inanellamento di innumerevoli e spesso divertenti episodi dell’entusiasmo e del mestiere di cineasta per un intervistatore francese, Noël Simsolo, componente, con lui, di una sorta di famiglia di cinefili (o ciné-fils, figli di cinema), frequentatori, in quindici anni di amicizia (fra gli anni Settanta e Ottanta), di festival, di incontri mondani e professionali di varia natura, e di scorribande notturne per le strade delle capitali europee, in primis Parigi.

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