risultati per tag: Les garçons sauvages

  • Il cinema di Mandico (autore di un unico lungometraggio, più una serie paratatticamente compatta come un fregio fluorescente, di corti e mediometraggi) postula e mima, in un detour ansioso e continuo, movimenti di discesa nel profondo e, per questo, si serve di una “camera stilo” che permette visioni internali “per contatto” come si farebbe togliendo dal niveo braccio di un angelo un guanto parecchio aderente (e non era un guanto ad ossessionare Breton in Nadja? E non erano guanti di plastica quelli che Heurtebise aveva regalato a Orfeo per fargli attraversare lo specchio?), feticismo dell’estremità che diviene immagine-calco del braccio perduto. Quali immagini, questo dispositivo microscopico e fantasmatico, filmerebbe? Sarebbero a colori o in bianco e nero? Affiorerebbero figure o osserveremmo particelle, muffe, pulviscoli come in un quadro dell’ultimo, cosmico, Kandinsky? Il piccolo dispositivo di ripresa non diventerebbe, allora, sottomarino del capitano Nemo, che proprio da un boccaporto assisteva alla fioritura di un paesaggio d’altrove?

  • C’è un doppio sguardo, frantumato dal taglio netto sulla dualità del soggetto, sovrapposto sul fascio di luce arrivato dall’alto, pure specchiato, che è di Hannah Höch nel suo Autoritratto con Crack (1930, Berlinische Galerie), al quale si ha l’impressione di poter accostare l’idea di cinema di Bertrand Mandico – astro nascente di una nuova tendenza francese, consacrato dai «Cahiers» – nelle specificità tecniche che gli sono proprie: metafora à rebours di un discorso sull’arte che riflette su di sé, sulle possibilità e sugli strumenti che ad essa sono connaturati; paradossale, vibrante, intensivo dream workche era stato delle avanguardie, ora reinterpretato nelle modalità dissacranti del ghigno, o del balbettio, quando non afasia, oppure al contrario dall’urlo, dal fluire emorragico, metafilmico, di liquidi che tingono lo schermo, del graffio furente sugli occhi.

Archivio

Teniamoci in contatto