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  • La pronuncia delle cose
    Luigi Abiusi

    La dimensione in cui si muove Chiamami col tuo nome e sembra gocciolare sulla pietra della pila, sgranare gli occhi verso un orizzonte di attese (immagini), di questo qui e ora che è già ricordo, fantasticherie debussiane che si rincorrono per tutto il tempo, è quella intima, adolescente, fatta della sostanza dei dubitativi pomeriggi passati nella penombra delle soffitte, tra un libro, una canzone a impregnare i muri, un corpo di pesca da riempire, mentre da fuori arrivano i gridi delle rondini che si arrossano nei cortili e tra i vecchi palazzi.

  • Della morte, non dell'amore
    Luigi Abiusi

    Più che nei suoi film precedenti il Paul Thomas Anderson del Filo nascosto sembra dedicarsi alla contemplazione della malattia, quindi a quello che, alla fine, è in sé la malattia, cioè la proiezione della morte, ora effettuata sulle pareti a fiori, nel contesto liberty di una decadenza ormai orfana di ogni estenuazione, ogni lirismo. E le musiche da camera (Brahms, Faurè, Schubert) sono il sostegno di questa fotosintesi inversa (altrove parlavo di “alienazione da camera”), per cui la luce di proiezione appassisce, decompone quei fiori sul muro anziché farli gemmare, esalanti così una putrescenza che intacca la pellicola, proprio la sua epidermide, l'atmosfera del film, ora ingiallita, illividita come la carne sfatta di un cadavere.

  • Il giuramento tra i fiori di crisantemo

    Valentina Dell'Aquila

    Ci ricorda una piattaforma videoludica L’immortale, con più livelli di scontro, più simulazioni che si vanno ad addensare in sfide di velocità e difficoltà con avversarsi del clan rivale (e non solo) sempre più acute e spadaccine, zombieficazioni sempre più striscianti; si vanno ad arricchire difese e armi e se ne perdono altre (le qualità fisiche ad esempio, la prestanza nella lotta, la percentuale di salute, etc).  L’abitante dell’infinito (è così che nel manga del 1993 di Hiroaki Samura viene definito Manji, nell’adattamento filmico interpretato da Takuya Kimura idolo degli SMAP), ex samurai nonché ronin dell’epoca feudale Tenmei dello shogunato Tokugawa 1783, dopo l’assassinio dei cento samurai, è infestato dal parassita kessenchu, sanguisuga che rigenera e riprogramma dopo ogni sfida il suo corpo eterno rendendo le sue ferite vulnerabili al dolore più estremo ma non alla morte.

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