La città furiosa degli Ultimi Giorni
(Traduzione di Giovanni Festa)
«I grandi viali si fanno strada e non smettono di venire»
Nicola Pino (1)
Denominare escatologicamente una città, come se fosse una città nei suoi ultimi giorni, alla quale è stata rivelata la fine dei tempi; o che, appesa a un filo, si avvicina al precipizio e si equilibra nella sua stessa caducità, su un asse debole; ma, anche, una città che ha appena subito un cataclisma e sta definendo, a tentoni, cosa ne sarà di lei in questo tempo post-apocalittico. Ecco di cosa parla questo testo. Gli Ultimi Giorni vogliono qui denominare quell’ambiguo statuto, quel momento critico tra la profezia – che alcuni, con entusiasmo mistagogico (2), si affrettano a marcare a fuoco sul proprio corpo: «sarai punita» – e il tempo post, quando la rivelazione è già avvenuta. Vale la pena notare che questi Ultimi Giorni non segnano solo una città, ma si riferiscono all’epoca intera in cui si inscrive la sua contemporaneità, perché sono gli ultimi (ultimi e recentemente giunti) giorni non solo di Santiago del Cile, ma di un mondo che cade e nel quale oscilliamo tutti (questa e le altre città) in equilibrio instabile, su basi logore, che non bastano più. Perché le nostre città invecchiano e non invecchiano bene; le finzioni ultramoderne sono diventate la loro versione peggiore, scenari altisonanti del consumo che alimentano povertà e umiliazione.