Ci sono cose che funzionano in Bowling Saturne di Patricia Mazuy, oggi in concorso a Locarno75: più che altro inferenze, dettagli, escrescenze del corpo portante del film, che è un'energica denuncia del femminicidio in forma di thriller e utilizzando la metafora della caccia.

Ed è proprio questa metafora a funzionare meno, anzi la maniera così scoperta, didascalica che questa metafora ha di agire nel film, con poche ambiguità semantiche, problematizzazioni, sfumature se non quelle inscritte ad esempio nella lettera lasciata da una ragazza suicida, che alllude a istinti atavici – forse anche masochistici – appartenenti all'universo femminile.

Qui, in questa sequenza, c'è della stratificazione del tema, un che di dolorosamente equivoco pertinente all'indole femminile e di lì al genere umano tutto se non anche a quello animale – è in questi casi di, come dire, esistenzialismo espanso che il femminismo raggiunge risultati notevoli, cioè una certa profondità dialettica e filosofica –, ma che non basta a bilanciare il film, a emendarlo dalla propria nettezza e semplicità ideologica, tant'è che viene il sospetto – a giudicare dall'indubbia intelligenza di Mazuy – che sia una decisa, programmatica volontà della regista piuttosto che l'inconscio, inavvertito decorso della sceneggiatura; e che sia una volontà anche polemica nei confronti dello spettatore.

A ogni modo, si direbbe che le cose migliori siano in dettagli, epifenomeni, occasioni derivanti dallo svolgersi della struttura a metafora spinta del film. Ad esempio la dimensione bestiale del protagonista, nel doppio senso di preda del fascismo, patriarcato, vittima sia pure riottosa e possente, come lo è un leone che s'avventa sul cacciatore prima di essere abbattuto (scena di una battuta di caccia, di un filmato amatoriale proiettato sullo schermo del bowling a coronamento di una cena di cacciatori); e d'altra parte carnefice, cacciatore egli stesso, famelico di ragazze mentre spalanca le froge alla ricerca di un odore, di un sentore di donna. Come se Armand, divenuto assassino seriale stando a contatto con il mondo della caccia, fosse continuamente allo specchio e si vedesse in questo cortocircuito eclatante, le cui scintille sono la carne più viva del film, l'immagine riflessa nello specchio, nello stesso specchio costituito dallo schermo del bowling a cui in effetti la propria sagoma si sovrappone.

Mentre più sottesa è la sovrapposizione di colpe e indulgenze verso se stesso, verso la propria natura ferina, da parte del fratello poliziotto, alle prese con la recrudescenza di una violenza latente in lui, che per un attimo lampeggia nel suo ghigno selvaggio quando fulmina l'attivista con cui ha intrecciato un rapporto sentimentale, ringhiandole «non mi toccare tu!». In tutto ciò campeggia lo spazio topico del bowling, spazio tutto cinematografico intorno a cui ruota una trama serrata e in cui transitano cacciatori e prede (prede femminili): spazio promiscuo, sempre offuscato da qualcosa di torbido, qualcosa di morboso che serpeggia e scandisce la distanza esistente tra l'ombra diffusa e i neon cupamente colorati sopra la macchina del caffè e i liquori.

* Una prima versione di questo articolo è uscito dul "Manifesto" del 6 agosto 2022.

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