A Star is Born porta inscritto già nel titolo il proprio destino di comparazione, ma anche al di là dei precedenti rifacimenti: si tratta proprio di ripensare immediatamente il film alla luce del classico, del melò, di modalità classiche di racconto cinematografico (quindi guardando soprattutto a Cukor); e di rintracciarne, per via di sviluppi e snodi narrativi, eventuali questioni teoriche, di scrittura.
In effetti mi pare sia un film inaspettatamente riflessivo (anche a prescindere dal riferimento a Lady Gaga, alla sua identità di diva che si riflette nello specchio di questa storia): film metacinematografico nella misura in cui arriva ad assumere ed esaltare il classico, forme di rappresentazione semplice (di semplicità del film parlava anche l'amico Carlo Valeri su "Sentieri Selvaggi") contro la sofisticazione di altre scritture, considerate inautentiche, e ciò partendo dall'illustrazione del soggetto posto in rapporto allo spettacolo di massa.
In questo senso il film di Bradley Cooper lambisce Vox Lux di Brady Corbet, dove però la stella è irrimediabilmente sottomessa al regime d'apparenza, di sofisticazione dell'apparenza, con gravi perdite d'io, e di etica si direbbe, e, come un'automa che risponde a una costante prescrizione binaria (fino a esaurimento forze), agisce per una sorta di meccanica dello spettacolo, della messa in scena iper-pop che mentre s'ostende lì sul palco, in apoteosi di lustrini e cosmesi spinta, è già in necrosi.
L'assunzione del classico, dello stile semplice (direbbe Enrico Testa) è l'esaltazione di una schietta fenomenologia del rock da parte di Cooper – quell'apparire così come si è, tra accordi, assoli, rif di chitarra, pieni, chiari: il darsi così, in piena nudità di jeans, cappelli, e capelli al vento, alla folla – che si oppone al mascheramento del pop (o comunuqe considerato in certe sue declinazioni), all'adulterazione della bellezza di Ally (e di Celeste in Vox Lux), cioè a pratiche narrative di camuffamento, sovraesposizione della mise, che sarebbe, nell'ottica di Cooper, svuotamento della bellezza del referente: necrosi appunto, stordimento da mise en scène di maniera.
Quel mascheramento che è intorpidimento, operazione di incupimento delle cose: è chiusura claustrofobica, scura, delle scene in cui Ally si esibisce ballando e ammiccando in stilemi ultrapop (adorna di chincaglie variopinte), quando (consapevole del monito naturalista di suo marito) aveva cercato di disfarsi delle ballerine di contorno, cioè di tutto l'armamentario esornativo, coreografico dello spettacolo di massa contemporaneo, che è coprente dell'immediatezza della musica e del concerto.
Per quanto schematico, anzi semplice possa apparire (e in effetti lo è), A Star is born è l'immediatezza, la semplicità del concerto rock – arioso, assolato, battente all'inizio di Black Eyes; trepido, sospeso quando Jackson ed Ally improvvisano Shallow – contro la fumisteria, l'ammicco pseudomusicale del pop: Cooper semplicemente racconta, mette in rock la storia d'amore, una classica storia d'amore, e la bellezza così imperfetta, carnea e nuda di Lady Gaga; la spoglia di fronzoli, trucchi; insiste per toglierle le sopracciglia finte al loro primo incontro in camerino, e cerca di sottrarla al camuffamento, al sovraccarico pop a cui la destina il manager; cioè, alla fiine, al degenerare del racconto in maniera.