La questione del movimento, della qualità del movimento, è alle origini del cinema di Wenders, si sa: non tanto la motilità dei personaggi dentro l’inquadratura, quanto la tensione della forma verso un "falso movimento", la stasi, a rapprendere cioè le forze cinematografiche in un ecosistema stagnante, uno spazio di fissità degli elementi che scandiscono il tempo. E i 4:3 diPerfect Days testimoniano di questo processo di sfibramento del ritmo, di stagnazione dell’aria: come un’esigenza di fermare l’attimo, magari l’epifania frusciante di luci tra le foglie.