Il “new horror” americano è una magnifica realtà, un genere tornato agli antichi splendori degli anni ’70 grazie alle visioni audaci, innovative e coraggiose di registi come Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele (a cui aggiungerei Rob Zombie, almeno per un paio di titoli).
In questa rifioritura di incubi di vario tipo, il film di Bertino è forse uno dei vertici in termini di cupezza e nichilismo. La premessa concettuale è molto simile a quella di Hereditary, folgorante lungometraggio d’esordio di Aster, cioè il ribaltamento dell’immagine rassicurante e protettiva della famiglia, baluardo e rifugio ultimo dal male nelle sue varie manifestazioni.
Il ritorno dei due fratelli Louise e Michael alla fattoria di famiglia per aiutare la madre ad assistere il padre morente, è in questo caso il primo passo di una discesa agli inferi che è tale in tutti i sensi, visto che il male assoluto, cioè il Diavolo, ha preso residenza nella casa di campagna e non ha alcuna intenzione di traslocare. Anzi, l’arrivo di altre due anime - giovani e pure - lo induce a moltiplicare gli sforzi per prendersi l’intera posta.
E chi si intende di pratiche demoniache sa che c’è un solo modo perché ciò accada, che non dirò (i più curiosi si rileggano il tredicesimo canto dell'Inferno), e che è la chiave per capire il film. Capire dove conducono le azioni di questo male estremo e spietato, nero come la pece dell’inferno e come la notte senza stelle che incombe sulla fattoria, il cui buio inghiotte come un buco nero ogni luce di speranza, religiosa o razionale.
Un male che inganna i sensi, smonta ogni credenza e toglie ogni fiducia. Che si insinua subdolamente nei due giovani sotto forma di senso di colpa - per aver abbandonato i genitori al loro destino, disinteressandosene fino a chiudere ogni comunicazione - e poi li divora dall’interno come un cancro, come ha già fatto con i due vecchi.
A sottolineare l’inesorabilità degli eventi e l’impossibilità di una fuga - che pure i due fratelli tenteranno, in una delle sequenze più potenti e memorabili del film - Bertino scandisce il ritmo giorno per giorno, e in una settimana la storia si chiude perfettamente. La parola FINE sigilla il film come una lapide.
Bertino firma un’opera di grande eleganza formale, tutta costruita in sottrazione, dall’acting misurato ed estremamente realistico di tutto il cast (di ottimo livello) al rifiuto di ogni trucco da horror di serie B, per costruire un film d’atmosfera in cui il male permea ogni fotogramma sotto forma di angoscia senza mai assumere fattezze di alcun tipo. Chi si aspettava un altro Black Phillip dovrà rivedersi The Witch.