altRitorno a Itaca. Perché se l’Odissea novecentesca delle ideologie è fatalmente giunta alla fine del suo viaggio, non resta che rifugiarsi nel Mito, nel regime del puro immaginario, tornando a casa dopo sedici anni per fare i conti con chi è rimasto.



Quello di Laurent Cantet, del resto, è sempre stato un cinema di smascheramenti e di dolorosi bilanci, un cinema dove l’atto del filmare ha sempre schiuso coraggiose finestre sull’universo sentimentale più privato e non filmabile dei suoi protagonisti. Un cinema di sole Risorse Umane intercettate nel momento del dubbio più lancinante: questo suo ultimo film, allora, sembra veramente il distillato di un’intera carriera. Unità di luogo e tempo, riunione di fantasmi esiliati su una terrazza cubana al centro de L’Avana, cinque amici ex artisti/attivisti che iniziano a parlare, ricordare, scontrarsi, interrogarsi, dissotterrare traumi passati, ballare, piangere, picchiarsi, sorridersi, lasciarsi. Portando ormai tatuato in volto il destino di sconfitti dalla Storia e dalle utopie, costretti da cinquantenni a fare i conti con il mondo sotto quel palazzo che è dolorosamente diverso da come l’avevano immaginato e “dipinto” nelle loro opere.

Il mito di Itaca – Cuba, la Rivoluzione, il comunismo illuminato e la giustizia sociale da costruire in barba al mondo intero – è confinato ormai su un’anonima terrazza dalla quale il cinema non “scenderà” mai. Sfuggendo, però, in ogni singola inquadratura a quest’apparente asfissia teatrale Cantet dimostra una sottilissima consapevolezza registica: da un lato crea una gabbia isolata dal mondo (fisicamente la terrazza, filosoficamente le idee tradite dalla Storia) e dall’altro forza questo dispositivo blindato utilizzando il grimaldello delle passioni e degli infiniti racconti intrisi di sentimento e rabbia. Configurando, semplicemente, un’imponente rete di traiettorie immaginarie e invisibili lasciate sempre in fuoricampo come magnifica via di fuga per noi spettatori.

L’amicizia sacra e la riunione di fantasmi passati colloca il film in territori di genere molto ben codificati (anche dal cinema americano, certo, questo è indubbiamente un grande freddo declinato da tutt’altra sensibilità). Ma lo sguardo tutto europeo opposto da Cantet riesce paradossalmente a raccontare meglio il mito di Cuba/Itaca, proprio perché ontologicamente lontano e riflessivo. Un mito amato, idealizzato, ma messo pesantemente in dubbio dalla vita di questi cinque reduci: si parla di impossibilità dell’arte se non accompagnata da un’intima e totale libertà; si parla di paura che mangia l’anima e di paura “di quello che con l’arte avremmo potuto dire” ; si parla di esili forzati e di silenzi lunghi una vita, di amori e rancori, di morti e tradimenti; ma si parla anche di purezza della giovinezza che è ancora idea, “ci credevamo”, e non sta certamente a noi stabilire se avevano o meno ragione.

Il cinema, in tutto questo, è lì. In mezzo a loro. Con un rigore nella forma che è una lezione di etica filmica. È lì a catturare i moti dell’animo nei primi piani dei cinque amici cubani, l’affetto smisurato che li lega e i rancori irreversibili che premono sottotraccia. La sconfitta, certo. Ma anche sguardi oltre la terrazza che schiudano universi paralleli, scelte ancora possibili, albe ancora da aspettare. Perché oltre il Mito, oltre l’idea, oltre l’ideologia, oltre le speranze, oltre la corruzione, oltre la sconfitta, e persino oltre se stessi… resiste ancora l’incontro. L’incontro con l’altro e con il cinema. Con quel controcampo che ti presupponga vivo e che riattivi ancora il tuo sguardo sul mondo. Uno schiaffo e un abbraccio, sì, solo la passione è sopravvissuta a Itaca...





Titolo: Retour à Ithaque
Anno: 2014
Durata: 90
Origine: FRANCIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: FULL HOUSE, ORANGE STUDIO, HAUT ET COURT, FUNNY BALLOONS, PANACHE PRODUCTIONS, LA COMPAGNIE CINEMATOGRAPHIQUE

Regia: Laurent  Cantet

Attori: Jorge Perugorría (Eddy); Isabel Santos (Tanía); Néstor Jiménez (Amadeo); Fernando Hechevarrìa (Rafa); Pedro Julio Díaz (Aldo).
Sceneggiatura: Leonardo Padura, Laurent Cantet
Fotografia: Diego Dussuel
Montaggio: Robin Campillo

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