Verso la fine di Rat Film ci ritroviamo nel bel mezzo di un paesaggio ricostruito rozzamente al computer, in 3D. La ricostruzione virtuale non è un granché, permette anche di oltrepassare i muri e, se assumiamo un particolare punto di vista, il suolo scompare e si spalanca un abisso stellato: c’è forse questo in fondo a un’immagine?

Dal fondo dell’immagine possiamo assumere un altro punto vista, rovesciando la gerarchia con la quale di solito dominiamo con lo sguardo il paesaggio: dall’alto ci sembra di poter governare il territorio, e ci possiamo anche convincere di poter mettere sotto controllo quel che vediamo con una semplice proiezione geografica; dal basso verso l’alto, siamo noi ad essere dominati e, non senza una certa angoscia ci chiediamo: chi è che ci osserva?

Dal fondo ci sentiamo simili ai topi, animali da laboratorio; in Rat Film una ricostruzione in digitale immagina come potrebbe essere il mondo visto da un topo in gabbia: una noia mortale, e solo attraverso un artificio (far scorrere velocemente le lancette dell’orologio) possiamo rendere la nostra nuova situazione tollerabile. Immediata e banale ci appare l’associazione tra topo e deteriore: basta rovesciare la proiezione in scala e ingrandire la gabbia. La rappresentazione contempla ora la parte più deteriore di noi, ovvero il dare e darsi la morte: eccoci in una specie di museo in cui vengono riprodotti in scala (anche 1:1) le scene di alcuni crimini particolarmente cruenti; si studia l’ambiente umano, in particolar modo quello domestico, e di come questo possa indurre alla morte.

La geografia con la quale pensavamo di poter dominare il mondo (ratti inclusi) è stata sostituita dalla topografia dei luoghi e dei volti alla google maps: siamo scesi sulla terra, osserviamo il mondo e lo riproduciamo per immagini infinite volte dall’altezza dei nostri occhi, con i piedi ben piantati al suolo e con nuovi occhi virtuali, che non riescono più a discernere un volto da un lampione. Infatti il pattern del volto umano, come viene definito nel film, sfugge ai calcoli analitici e il programma confonde i visi con altri elementi urbani e viceversa, cancellando (per un ipocrita rispetto della privacy) sia gli uni che gli altri. Ma accade pure che un volto venga scambiato per qualcos’altro (forse per il muso di un topo gigante, chissà) e sfugga all’indistinzione dei pixel: e con un certo sollievo pregustiamo il momento in cui il suolo ci scivolerà da sotto i piedi per trovarci sospesi sul riflesso di un cielo stellato, capovolta ogni gerarchia.





Titolo: Rat Film
Origine: USA
Anno: 2016
Durata: 82’
Colore: C
Genere: Documentario
Specifiche tecniche: DCP
Produzione: Memory

Regia: Theo Anthony

Attori: Maureen Jones
Soggetto: Theo Anthony
Sceneggiatura: Theo Anthony
Musiche: Dan Deacon
Montaggio: Theo Anthony

http://www.youtube.com/watch?v=mDy3Mtot7IA

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