«È disteso su sette colli altrettanti luoghi da cui godere esaltanti panorami, il vasto, irregolare e multicolore insieme di case che costituisce Lisbona. Per il viaggiatore che arriva dal mare, Lisbona, anche da lontano, si erge come un’affascinante visione di sogno, contro l'azzurro vivo del cielo che il sole colora del suo oro. E le cupole, i monumenti, i vecchi castelli si stagliano sopra il turbinio di case, come araldi lontani di questo luogo delizioso, di questa regione fortunata».
(F. Pessoa, 1997, p. 15).
«Prendimi, o notte eterna, tra le braccia
e chiamami tuo figlio.
Io sono un re
che volontariamente ho abbandonato
il mio trono di sogni e di stanchezze».
(Fernando Pessoa, Abdicazione)
La visione di questo documentario di Julio Bressane mi ha fatto venire in mente un libretto raro e prezioso dal titolo Lisboa. Quello che il turista deve vedere. Non tutti sanno che Fernando Pessoa scrisse una vera e propria guida della capitale portoghese destinata ai visitatori stranieri, rinvenuta fra le sue carte soltanto nel 1988. Tra monumenti alle glorie nazionali, musei, palazzi aristocratici e chiese barocche, rifulge la Lisbona ufficiale. Così lontana da quella attraversata a piedi dal poeta che, di giorno, tra molti intervalli per caffè, frequenta luoghi dettati dalla necessità della sopravvivenza (fra cui, gli uffici di riviste e giornali) e, di notte, alloggia in camere in affitto ammobiliate.
Quello che a parole era un itinerario della sua amata città, realizzato a bordo di un’automobile, sotto l'originale lente del cineasta (un calice di cristallo) si trasforma in un omaggio per immagini, per così dire “al quadrato”, in cui Lisbona e Pessoa diventano un unico soggetto topografico-umano dalle imprevedibili corrispondenze. Non solamente semantiche. La patria dei caratteristici eléctricos, «raggiante di dispiacere» - come dice António Lobo Antunes - sia nelle sue radici più popolari (l'Alfama), che nella struttura sontuosa degli edifici e delle piazze (vedi Praça do Comércio), mostra una molteplicità di volti dall'identità sempre cangiante. Esattamente come accade per il vate lusitano che ama scindersi in Alberto Caeiro piuttosto che in Ricardo Reis o in Álvaro de Campos...
Un montaggio compulsivo, al ritmo di una vecchia filastrocca, alterna l'immagine della facciata del palazzo dove nacque Pessoa (Largo São Carlos) con quella di anonimi passanti che scendono scalini e con quella ancora del tram. Come a restituire fisicamente allo spettatore gli spostamenti “schizofrenici” dell’uomo dalle mille personalità tra le strade e i quartieri, dal Bairro Alto alla Baixa. E, insieme, le oscillazioni del suo pensiero che si inglobano e si confondono nella città.
I panni stesi sotto la pioggia tra gli antichi vicoli, così come gli alberi “affacciati” dagli spalti merlati del Castello di São Jorge, si agitano pacificamente, accarezzati dal vento. Il mare colto al momento del tramonto, con il brusio costante dei flutti. Il cielo con le sue nuvole alte e stratificate. Un'idea di movimento incessante e di infinitezza di tutte le cose percorre O batuque dos astros (Il baccano degli astri).
La realtà è sempre “altra”, plurale. Slitta e sfugge continuamente nella sua composizione, enigmatica, menzognera. Ambigua. E, come tutti i testi del poeta, risulta franta, incompleta, in divenire. Anche la m.d.p., a volte, riflette l'inquietudine della scrittura: traballa seguendo le note di una vivace canzonetta d'epoca; oppure, spazia vertiginosamente con una panoramica a 360° sullo skyline cittadino.
In altri frangenti, invece, l'obiettivo rimane fisso per immortalare alcuni dettagli che “parlano” del Lisboeta anche a distanza di un secolo dalla sua esistenza. Dal fermo immagine su una sua vecchia foto, fino ad arrivare ai suoi libri, inquadrati in primissimo piano da un insistente zoom (mentre in fondo alla biblioteca compare la sagoma di Bressane, ennesima proiezione dello scrittore…).
Più di un segmento è poi focalizzato sulla celebre statua di bronzo del personaggio seduta al bar. Intanto che la città pulsa ad ogni ora del giorno e della notte, con le sue orde di turisti di varie etnie e idiomi e di curiosi armati di macchina fotografica, la maschera del poeta, catturata da ogni possibile angolatura, si erge a custode di un’umanità fuggevole e proteiforme.
L'autore brasiliano cita Pessoa attingendo a un ricco fondale di aforismi («Fingere è conoscersi»; «La nave dei sogni non ha porto»; «Eccomi visioni, sono vostro»; «Io sono un caleidoscopio»; «Non so cosa porterà il domani»), ma cita anche sé stesso tramite la riproposizione di propri inserti filmici, che vanno da O gigante da América (1978) a Cleopatra (2007). Le immagini di finzione arrivano dunque a dialogare col presente della città e con il passato del suo illustre abitante, costruendo una rete di consanguineità poetica di indubbio fascino evocativo.
Bressane-Lisbona-Pessoa compongono assieme una lenta sinfonia di suoni e di fotogrammi che - bisogna riconoscere - necessita non poca pazienza da parte dello spettatore. Ma, del resto, come dice il regista: «L'arte è esprimersi. Quello che si esprime non ha importanza». Lasciamo allora che questo piccolo-grande saggio cinematografico sia (e)stasi del tempo ma anche il frastuono delle stelle. La statua del vate dal profilo rovesciato. Il suo cappello di feltro nero che “cammina”...
Bibliografia
Pessoa F. (1997): Lisboa. Quello che il turista deve vedere, Voland, Roma.
Titolo: O batuque dos astros
Anno: 2012
Durata: 70
Origine: BRASILE
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Regia: Júlio Bressane
Sceneggiatura: Rosa Dias, Jùlio Bressane
Fotografia: Jùlio Bressane, Zelito Vianna
Montaggio: Rodrigo Lima
Musica: Guilherme Vaz