Los_muertosLa statuetta della Madonna, e un uomo che fuma e beve mate.
Nel silenzio di una prigione argentina aspetta che un documento gli renda la libertà.
Fuori il tempo resta quello dell’attesa e le persone assumono il volto dei luoghi da raggiungere.
L’uomo ha avuto una figlia, che a sua volta avrà avuto dei figli.
Bisognerà che percorra lunghe desertiche distanze nella foresta senza mai raggiungere il luogo delle sue intenzioni.
Comprerà una camicia verde e tutto il verde del mondo avrà l’odore selvaggio della lontananza.
Nel silenzio della Pampa aspetta che una prostituta gli restituisca anche l’ultimo strappo di pelle.
Un pupazzo agonizza al sole.




«Non ci fu mai più inizio di quanto ce n’è ora,
né più gioventù o vecchiaia di quanta ce n’è ora,
né vi sarà più perfezione di quanta ce n’è ora,
né più cielo o più inferno di quanto ce n’è ora.»
W. Whitman


Grumi di consonanti debordano dai confini rassicuranti della pellicola, come materia vivente fuori dalla pelle.
Finisce la storia dell’inizio del mondo; lo spazio si liquefà, si dissolvono i limiti che separano i titoli di coda dalla continuità di un racconto che non è mai cominciato. L’ultimo piano d’immanenza comprime immagini polverose nel buio di uno schermo, escludendo dalla scena bene e male, in una creazione capovolta in cui anche il riempimento è vuoto: il cinema duplica la perversione della genesi, destruttura la Storia, sfoltisce l’ossessione della presenza per ricreare l’immagine in un vuoto (absolu) che sgorga fuori da uno spazio (néant) anteriore e inconcepibile.
L’occhio che uccide affonda come una lama a svuotare le prime cose nate già morte - mentre il mondo si lascia sognare nella sua scarnificazione. Fuori dallo spazio blindato della prigione, fuori dalla sala cinematografica, fuori dal corpo è l’universo essenziale.
Il nulla laggiù fa a meno anche della fine.
Sulla semplicità di questo immenso selvaggio vuoto, il cinema comincia il viaggio infinito verso il centro della Terra. Nessun dove deve mai essere raggiunto perché la durata possa coincidere con la distanza e il limite annullato nella fusione assoluta e iperreale tra le viscere e lo sguardo.
Nel momento esatto in cui le carcasse della capra e dei pesci vengono ripuliti dagli organi, le api private del miele, il frutto staccato dall’albero, i figli abbandonati dalla madre  lo sguardo dello spettatore si riempie di frammenti, fondendosi con il vuoto di una nuova immagine.
Los muertos è un film sull’assenza del tempo ipotetico: tutte le cose sono precisamente in quello spazio atemporale, perfette, in una accettazione senza ragione dell’accadere, scarnificata di mancanze e di paura.
Dal fondo (della tazza di mate, dello schermo, della pelle) emerge tutta la memoria involontaria della creazione che non si lascia comprimere in nessuna storia. Ogni cosa resta nell’attesa e sa di non essere più di un inanimato gioco: dura il tempo esatto che gli spetta.
Il pigolio elettronico del cielo svuotato dall’ombra di dio accompagna la nascita del mondo da una sterile suzione.
Tutto l’essenziale tolto serve affinché nulla manchi più dell’essenziale.
A riempire resta la visione. Ed è cosa buona.




 


Titolo Los Muertos
Anno 2004
Durata 78
Origine ARGENTINA
Colore C
Genere DRAMMATICO
Specifiche tecniche 35 MM (1.85)
Produzione 4L, SLOT MACHINE, FORTUNA FILMS, ARTE FRANCE CINEMA

Regia Lisandro  Alonso
    
Attori Argentino  Vargas, Francisco Dornez, Yolanda Galarza 
Sceneggiatura Lisandro  Alonso,     
Fotografia Cobi  Migliora     
Musiche Flor  Maleva     
Montaggio Lisandro  Alonso     
Scenografia Lisandro  Alonso

Reperibilità

Riconoscimenti

http://www.youtube.com/watch?v=4dCRxW6_hec

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