Luce, di Luca Bellino e Silvia Luzi, è un'opera dai toni marcatamente introspettivi che proprio nella ricerca di un senso alla vita, come di luce particolare, una manifestazione insperata, ovvero un atto puramente trascendente, dirige Marianna Fontana fuori dall'ombra disidentificante della sua vita incolore.
Ne abbiamo parlato con i suoi due autori.
In ambienti opprimenti come quelli che raffigurate, in cui i dati personali sembrano dissolversi, come si costruisce e decostruisce il concetto di identità?
Abbiamo voluto creare uno spazio simile a una catena di montaggio, un mondo in cui ripetitività e alienazione costringono la protagonista a cercare risposte solo dentro sé stessa. Abbiamo scelto una fase di lavorazione tradizionale, chiamata inchiodatura, che consiste nello stendere e fissare le pelli ad alte temperature. È una metafora perfetta: un personaggio “inchiodato” a un destino che limita la sua crescita e le impedisce di guardare verso una luce, nascosta ai suoi occhi. Questo luogo rappresenta sia la costrizione, sia la forza di chi si piega senza spezzarsi. È proprio in questo stato che si accende in lei una scintilla di fantasia che la spinge a intraprendere un percorso verso il completamento della propria identità.
Il Sud Italia sembra essere per voi l’ambiente perfetto per rappresentare il conflitto tra autorità e individuo, in un contesto rarefatto dove anche una voce ignota assume un valore approssimativamente salvifico.
Il Sud possiede strati di tensione culturale e sociale che risuonano profondamente con noi. È un luogo dove l’autorità appare quasi fisicamente impressa, un antagonista silenzioso ma sempre presente. La voce è un espediente narrativo, una guida ambigua, che sembra offrire aiuto senza mai promettere una via d’uscita certa. Non è un percorso che porta necessariamente a una risposta definitiva, ma piuttosto una ricerca che spinge il personaggio a esplorare. È il viaggio che conta, una scoperta che, anche se incompiuta, rimane indispensabile.
L’idea di riscrivere la sceneggiatura giorno per giorno è affascinante. È stata una scelta per mantenere fluida l’evoluzione della protagonista, liberandola dalla fissità di una trama rigida?
Esattamente. Partiamo con una sceneggiatura di base, ma quando ci confrontiamo con luoghi reali e le persone che li abitano, la nostra comprensione del personaggio si arricchisce. Per Luce, l’attrice Marianna Fontana si è immersa nella vita del paese per mesi, lavorando in negozi locali per assorbire le dinamiche e il dialetto del posto. Durante le prove, abbiamo riscritto scene basandoci sulle inflessioni e le esperienze reali di coloro che incontrava. Quando siamo arrivati alle riprese, tutto aveva acquisito un ritmo – quasi una danza – che rifletteva sia la precisione della sua interpretazione sia la naturalezza degli scambi che aveva vissuto.
Guardando al futuro, ritenete che i vostri prossimi progetti continueranno a indagare questi temi o immaginate di esplorare nuovi orizzonti narrativi?
Stiamo già lavorando al prossimo film, che manterrà come tema centrale la lotta contro il potere e un percorso di ribellione che emerge come una necessità inevitabile.