Michele Sardone

Guardando gli ultimi corti di Fabio Mazzola (da Piano Pi_no fino all’inedito da DO a DA, passando quindi per S_S e τοπίο, presentato all’ultimo “Filmmaker Festival”) sembra di assistere all’inverarsi di un’epifania, quel piccolo miracolo che è il manifestarsi di un autore. Senza voler mettere in secondo piano i lavori precedenti (tra i quali vanno ricordati almeno Natale Nazista e La faccia della maiala), si può dire che Mazzola negli ultimi due anni abbia trovato un’intuizione e ne abbia fatto uno stile da formare e seguire al tempo stesso, ossessivo e tenace come un filmmaker è chiamato a ricercare.


Per prima cosa, la materia filmica dei suoi corti è sempre debordante, difficile da contenere in una sola inquadratura: che sia l’ammasso di oggetti di Piano Pi_no o i volteggi del cavallo in τοπίο, il corpo all’opera della pittrice Silvia Argiolas in S_S come gli edifici in da DO a DA, quel che scorre per le riprese di Mazzola è il fluire di un magma di forme e di forze restie a coagularsi in una sola immagine che possa restituire per intero il soggetto-oggetto del film.
Mazzola sembra dirci che è difficile persino dare un nome a quel che si vede e che si fa film, mascherando in giochi grafici, più che linguistici, i titoli dei suoi corti: in uno cade una lettera, nell’altro cambia l’alfabeto, poi diventa emoticon e infine balbettio musicale – anche se, per chi è pugliese, da DO a DA può avere un senso, dato che in alcuni dialetti significa da qui a là.

Ecco, tanto vale avvalorare l’esistenza di un luogo comune, che è la Puglia, per potercene sbarazzare subito e andare oltre. C’è in effetti un rapporto di contiguità tra i pugliesi Mazzola e Schirinzi (i due hanno insieme decostruito e reinventato buona parte dell’iconografia nazista) e, con esiti di certo differenti da quelli dei primi due, Dongiovanni: una comune fascinazione per le macerie, per la forma che si sbriciola in rovina. E tutti e tre paiono essersi messi di comune accordo a vedere in una terra retoricamente levantina, la scenografia di un eterno tramonto, a dare a quel che è scarto del moderno, il valore trasvalutato della resistenza arcaica e astorica, resistenza ai cambiamenti imposti dal centro del potere alle sue periferie.

In Mazzola lo scarto e l’obsoleto divengono proprio quel soggetto-oggetto dei suoi film che continuamente sfugge alla dittatura dell’immagine nitida, perfetta e tecnologicamente totalizzante che impera nell’attualità. Sin nella loro forma, i suoi corti si danno già come reperti, residui imperfetti e mal funzionanti di visioni fatte con gli occhi stanchi di telecamere anni Novanta e impresse su memorie già labili e pronte a deteriorarsi.

Così Piano Pi_no è dedicato all’accumulo insensato e tenace di oggetti inutili e caduti in disuso, salvati e dispersi nell’indistinto grigiore dell’ammasso, come se fossero sul ciglio dell’oblio e allo stesso tempo già scivolati dentro di esso; un corto fatto sul limitare, sullo stare alla soglia fra due mondi, come lo è anche da DO a DA, tenue linea tesa fra questo e l’altro mondo, da qui a là appunto, linea che diventa luogo, contorno sfocato, forma indistinta e macchia di colore (effetto ottico della calura pomeridiana, quando l’occhio non riesce a capacitarsi dell’insensatezza delle architetture suburbane e ha bisogno quindi prima di socchiudersi e, forse per reazione, slargarsi fino a contenere un’immagine satellitare nella quale il nonsenso prende la forma di ghirigoro infantile – unica concessione, da parte di un autore rigoroso come Mazzola, a un ricorrente vezzo presente nella gran parte dei corti, quello cioè di inserire alla fine una piccola sorpresa per lo spettatore).

O ancora, in S_S, fare dell’errore, dell’imperfezione o dell’inciampo del nastro di una videocassetta, un tratto stilistico, che rimanda a un altro stile e ad altre forme, quelle dipinte dalla Argiolas, che negano e mettono in questione la perfezione, il giusto e la nitidezza; come se fosse possibile (e sembra essere questo, infine, il tentativo di ricerca in Mazzola) trovare una crepa sul corpo nitido dell’immagine cristallizzata al potere, infilarvisi, e lì minarla, per farla sbriciolare in rovine.


Filmografia delle opere citate di Ignazio Fabio Mazzola

Natale Nazista (2012)

La faccia della maiala (2013)

Piano Pi_no (2014)

S_S (2015)

τοπίο (2015)

da DO a DA (2015)