sao-karaoke-karaoke-girl-di-visra-vichit-vadakan

Mi limón, mi limonero
entero me gusta más
Un inglés dijo yeah, yeah
y un francés dijo oh lala
[…]

Me siento malo morena
cabeza hinchada morena
Que no me paro morena mmm, voy voy voy
[…]


Karaoke girl (della regista tailandese Visra Vichit Vadakan) forse eccede in delicatezza, anche nell’intessitura musicale e sonora (troppo blanda, floreale), perdendo l’occasione di variare sul tema dell’emarginazione e del dolore da prostituzione; mentre mi viene in mente Ruin, degli australiani Amiel Courtin Wilson e Michael Cody visto di recente a Venezia in cui convivevano il registro lirico (ma al limite della stucchevolezza e del patinamento) e crudezza legata alla metropoli polverosa e violenta. Peraltro anche qui il registro è doppio e oscilla tra finzione e documentario, ma manca la poesia della terra desolata, sporca e violenta, sostituita da tinte serene, pacate come il rosa che impera in molte scene, tentativo di coprire la sopraffazione e di purificare la donna in una solidarietà tutta femminile.

Mentre la maschilità (nella versione rude e fascistoide) muove le immagini di Pelo Malo della venezuelana Mariana Rondòn a formare un grumo di egoismo, ottusità e cinismo guerreschi, appannaggio di Marta (che arriva pure a mostrasi mentre copula col suo capo, pur di dare insegnamenti “virili” al figlio), il quale confligge con la dimensione pura e sognante (e giocante) di Junior, bambino dai magnifici capelli ricci che si immagina nelle avventure dei giochi, dei corpi volanti (i ragazzi che giocano a pallacanestro), delle posture dentro vestiti sportivi, sospettato dalla madre di omosessualità precoce, e per questo maltrattato, odiato, dato via.
E il film è bello proprio perché si regge su elementi compositi quando non opposti (che sibilano in sottofondo, si richiamano, s’intrecciano a formare un unico ambiguo e marcatamente simbolizzato palinsesto, tra pregiudizio, bellicosità, religione, cultura bassamente televisiva eppure bramata), come la vasta iconografia di degrado di una Caracas dagli enormi falansteri scalcinati (puntellati da frotte di piccioni o di bambole pendule e sozze da un camioncino) che coabita coi vezzi della moda e delle canzoni del popolino (facendo eco al panorama cupamente “di cattivo gusto” di Tony Manero): smalti alle unghie, vestitini di raso (è la forte valenza simbolica degli abiti, se penso anche all’ossessione per la divisa e gli stemmi di Marta, poi alla sua minigonna: insomma, una vera e propria meta-fisica dell’indumento) e soprattutto capelli lisci (desiderati e tentati con frizioni di maionese da Junior) e una foto da fare per una qualche identificazione scolastica.

E ancora, soprattutto, la figura snella e agile di un cantante che sarebbe Henry Stephen che canta Mi limóm, mi limonero entero me gusta más. Un inglés dijo yeah,yeah, yeah,yeah y un francés dijo oh lala. Mi limóm, mi limonero entero me gusta más. Un inglés dijo yeah,yeah, yeah,yeah y un francés dijo oh lala. Me siento malo morena  cabeza hinchada morena. Que no me paro morena mmm, voy voy voy. Me siento malo morena cabeza hinchada morena. Que no me paro morena mmm, voy voy voy. Mi limóm, mi limonero  entero me gusta más. Un inglés dijo yeah,yeah, yeah,yeah y un francés dijo oh lala. Mi limóm, mi limonero  entero me gusta más. Un inglés dijo yeah,yeah, yeah,yeah y un francés dijo oh lala. Aaayayai, limones para beber. Aaayayai, limones para beber. Aaayayai, limones para chupar. Aaayayai, limones para chupar. Mi limóm, mi limonero señor entero me gusta más. Un inglés dijo yeah,yeah, yeah,yeah y un francés dijo oh lala (venga).


http://www.youtube.com/watch?v=-Nnh6gIRHy4