Matteo Marelli
Il percorso spettacolare di Emma Dante ha da sempre una forza centripeta, una chiusura, un ripiegamento ombelicale che ambisce a contenere in sé il mondo. Una costruzione sineddotica che attraverso iperboli grottesche della rappresentazione lascia trapelare significati metaforici. Senza rinunciare al racconto, sebbene asciugandolo, riducendolo all’essenziale, presentando e indagando situazioni già date più che svolgimenti di conflitti e azioni.
E questo modus operandi si ritrova in Via Castellana Bandiera, la sua prima regia cinematografica tratta dall'omonimo esordio letterario.
Lo spazio diventa immediatamente chiuso: in un budello della periferia palermitana due donne si affrontano, una di fronte all'altra, ognuna nel proprio abitacolo, decise a non arretrare per permettere il passaggio della rivale. Affianco a loro le rispettive “famiglie” con tutto il carico di irresolute tensioni; attorno a loro un'umanità che assiste e partecipa intromettendosi meschinamente allo scontro, prima subendolo poi provando a pilotarlo. Ma mentre i comprimari cercano di speculare sull'immediato contingente, le due protagoniste rifiutano di piegarsi a venali interessi e si sfidano in una lotta che assume i contorni di un muto rituale arcaico, che si esprime per mezzo di speculari partiture fisico-gestuali. La loro durezza non ha nessuna relazione con la violenza che le circonda.
Emma Dante non si distacca dal contesto palermitano in cui è germogliato, cresciuto e ha cominciato ad appassire il suo teatro; vede nella Sicilia una torretta di osservazione privilegiata sul mondo, gravida di attriti tanto radicati al territorio ma allo stesso tempo capaci di suggerire tensioni di più ampio respiro.
In questo esordio filmico torna a riproporre l'idea di un Sud non tanto come luogo geografico quanto piuttosto come stato mentale. Questo circolo senz'aria si muove pericolosamente sul filo del luogo comune, la riflessione antropologica è a tratti risolta in maniera bozzettistica. E alla fine l'impressione che resta è che l'archetipo scada nello stereotipo.