Prima scena: Lee Kang-sheng è seduto sul divano e presumibilmente – non si vede bene – si masturba, in presenza di una donna anziana; finito, aziona degli elettrodi che gli stimolano la schiena. Probabilmente non siamo altro che questo, noi spettatori di The Deserted, film in realtà virtuale di Tsai Ming-liang: siamo onanisti stimolati elettronicamente; oppure, aggiungendo una dimensione a specchio, ci riflettiamo nello sguardo assente della donna, che sembra vedere senza essere vista, come se Lee presentisse la presenza di lei, senza esserne pienamente cosciente.
Il sospetto arriva qualche scena più tardi: sempre lui, stavolta in una vasca, visibili solo la testa e un braccio. La vasca è di un plasticone bianco e opaco, attraverso il quale si intravedono le ombre del corpo e dell’acqua. Da due riquadri nel muro senza finestre (simili a quelli di Afternoon) si affacciano nella stanza fronde di alberi scosse dalla pioggia. D’un tratto dalla vasca emerge una giovane donna e i due iniziano un amplesso, allo stesso ritmo degli scrosci di pioggia che entrano sempre più energici nella stanza. In questo momento, se si è rimasti sufficientemente coinvolti, si ha il desiderio di alzarsi dalla postazione e raggiungerli, ma sarebbe inutile: vertiginoso il vuoto si apre sotto di noi, un'invisibile e intangibile barriera è tra le nostre dimensioni.
Allora si ha la sensazione di essere noi spettatori ad essere virtuali, a non avere un corpo: dovremmo essere almeno bagnati fradici, non protetti dalla nostra asettica e passiva asciuttezza, dalla desertificazione delle nostre sensazioni.
E può capitare che l’epifania di una donna vestita di bianco capiti una sola volta, alle nostre spalle, e neanche ce ne accorgiamo.