Vanna Carlucci

«Muere lentamente / quien se transforma en esclavo del hábito, / repitiendo todos los días los mismos trayectos, / quien no cambia de marca, / no arriesga vestir un color nuevo / y no le habla a quien no conoce…»: versi che sono solo parte di una poesia letta da Manu, una dei cinque sopravvissuti di Los Nadie di Juan Sebastian Mesa, presentato all’interno della Settimana della Critica; lei sfoglia le pagine, recita parola per parola come un gesto di salvezza che le viene in soccorso, lei come gli altri, aspirante giocoliere - della vita e della morte - in bilico per le strade colombiane, quelle dove la speranza è da ricercarsi fuori dai propri confini e i giorni passano nel tentativo di  riempire il tempo che scorre senza pause, senza trovare pertugi, senza il lampo meravigliato degli occhi che si dilatano, vuoti nel consumo di alcool e fumo mentre ancora, lentamente si muore.


La zona è quella intermedia, nell’incertezza di muoversi o di restare inermi, la zona è quella della lotta, della periferia che brulica di violenza e allora, ancora una volta, la musica corre dietro la macchina da presa, quella punk, quella incazzata e sporca che batte i pugni per aria e corrode le pareti, violenta i corpi di segni indelebili sulla pelle; non una dispersione, nemmeno un rapimento (la musica) come lo era stato invece per David in Montanha di João Salaviza presentato l’anno scorso a Venezia: una hard-techno quella, che avvolgeva il corpo di Paulinha come un pieno improvviso ed erotico prima di risvuotarsi negli occhi adolescenti e chiusi di David, all’interno di certe inquadrature fisse che sembravano però scaldarsi nella penombra dolente delle luci; qui, al contrario, è in bianco e nero - dal contrasto poco rimarcato quasi a farsi nel suo insieme polveroso e grigio-, Los Nadie. Grigio come le strade  di cui il film si compone dove certe sonorità punk, smorzano la monotonia dei toni producendo un ribaltamento emotivo, violento, quasi un urlo soffocato dietro un vuoto che circonda cinque ragazzi, cinque vite che mostrano il nulla e una seppur vana ricerca di senso, di un senso da darsi e che non si trova, persi come sono per le strade di Medellin.