Matteo Marelli
François s'en va-t-en guerre. Quella del 1914 – 18. Segue la strada tracciata da Lubitsch con L’uomo che ho ucciso, melodramma antimilitarista a sua volta ispirato all’omonimo lavoro teatrale di Maurice Rostand; Ozon coglie nel testo quelle insorgenze che gli permettono, pur nel rispetto della fonte, di far scorrere sottotraccia alcuni dei temi forti della sua poetica registica («In Frantz si ritrovano molte delle mie ossessioni. Ma il fatto di affrontarle in un’altra lingua, con attori differenti, in luoghi diversi dalla Francia, mi ha costretto a reinventarmi e spero che questo abbia dato nuova energia e una nuova dimensione a quei temi»).
A cominciare da quello dell’intrusione all’interno del quadro domestico di un elemento esterno e perturbante (come accadeva in Regarde la mer, Swimmingpool, Le refuge, Dans la maison); Adrien, misterioso francese che Anna scopre portare fiori sulla tomba del proprio fidanzato Frantz, rappresenta il cosiddetto Unheimlich, quel «non familiare» che pure parla come una sirena di cose che si conoscono e che si vogliono sapere, in un continuo gioco di finzione fra conoscenza e ignoranza, fra noto e ignoto: Ozon, come già Fassbinder, sa che sappiamo già tutto e che la rivelazione di quel che fingiamo di non sapere è per noi, che accettiamo di giocare la nostra parte in questo inganno (in)felice, una croce e una delizia.
Adrien e Frantz sono due tra i milioni di giovani trascinati ad arruolarsi e poi calati in quell’inimmaginabile inferno che fu la linea di fuoco dei trinceramenti, vera e proprio scuola di assassinio. Lì, nelle trincee, privati di tutto, sprofondati nel nulla, proprio nel momento dove è più forte la paura la faccia dell’uno si vede riflessa in quella dell’altro, e il transfert che ne seguirà avvilupperà le persone a loro vicine in una ragnatela di storie che innescherà una dinamica di rapporti tutti ruotanti attorno alla dialettica plagiante e plagiato.
Ecco quindi affacciarsi un altro dei motivi guida del cinema di Ozon: la menzogna, da intendersi come immaginazione in atto (Swimming pool e Dans la maison non sono altro che precedenti declinazioni del tema), un’immaginazione che può stravolgere qualsiasi situazione in materia da racconto.
Così come i personaggi si manipolano e accettano di lasciarsi manipolare, lo stesso succede nella relazione tra regista e spettatori: Ozon sa quali dinamiche ci si aspetta dal suo cinema (i suoi codici; le sue regole) e anche in questo lavoro, come già in Dans la maison, le lascia emergere preferendo però eluderle, o lasciandole irrisolte, disorientando, così facendo, le attese del proprio pubblico. A differenza però del film del 2012, il cui intento era quello di forzare i meccanismi narrativi ed esibire il dispositivo narratologico, in quest’ultimo lavoro l’operazione metatestuale è tenuta a freno così da poter lasciare la precedenza al piacere del racconto nel suo farsi.