Un al di là e un al di qua, due tempi e spazi che ininterrottamente si avvinghiano l’uno sull’altro, nel cinema di Bellocchio. Le porte si aprono, i corridoi vengono attraversati e siamo dentro; non sappiamo cosa abbiamo visto, chi, un fantasma, un vampiro, un morto, un vivo ma la presenza di questi personaggi quasi si preannunciano nella loro assenza, nel fatto stesso di non esistere affatto. Bobbio è il quadro sognante, “è tutto qui” il mondo in cui si annida la polvere del tempo, tempo che si concretizza sempre in immagini ben definite, riviventi nel sogno.
C’è qualcosa che sfugge allo sguardo, che corre verso un altro verso. Cosa accade nella stanza del convento tra Benedetta e Federico? Cosa abbiamo visto? Il segreto confessato, la passione rinchiusa dietro un muro, quel diavolo in corpo che magnetizza e illumina ogni cosa, una bellezza viva che entra in un circolo d’amore, da un fratello all’altro, immagini speculari che s’incontrano sulle sponde del fiume, in limine di una veduta. Tutto il resto sono occhi ciechi e la notte scivola luminosa, libera fantasmi così come in Buongiorno, notte la notte liberava Aldo Moro dalle strette dei suoi carnefici, come un voler divincolarsi dal sonno profondo (La Bella Addormentata) in cui siamo caduti perché, nel cinema di Bellocchio, tutto è eseguito con il tentativo di annunciare il manifestarsi di qualcos’altro che possa cambiare destini, che possa creare altre immagini: in ogni caso si assiste sempre a questo (in)finire nel sogno che è un librarsi altrove, in un al di là che non trova costrizioni, che non impone inquisizioni.
Sembra quasi che il suo cinema possa mostrarsi solo sprofondando, nell’illusione che si possa passare per tutte le prigioni possibili (le diverse immagini del Potere), per risalire poi finalmente a galla. Ecco allora che il personaggio si smaterializza, fantasma notturno, e spia quello che accade fuori, vampiro capace di risucchiare ogni cosa, capace di entrare però dentro tutti i nostri occhi che guardano e si sentono guardati mentre, in coro, una canzone sussurra che esiste ancora «un modo diverso di vedere le cose e non importa nient'altro».