Si rimane affascinati dal film di Guadagnino come lo si sarebbe dalla visione di una figura femminile che è stata per troppo tempo bella ma che si ostina a mantenere una sua aura da donna fatale, e a viverci dentro, a indossare abiti sgargianti e zirconi lucenti, incurante del tempo che passa e del sentore di morte, e che vede nella sua civetteria fintamente fatua un rifugio dall’evidenza della realtà delle cose.
Come poter credere infatti ancora oggi al potere di seduzione delle femmes fatales, alla loro sensualità accennata, mai esibita, come a voler nascondere chissà quale mistero (per scoprire infine che il mistero non c’è, ma solo una fantasia tutta maschile, una proiezione dei desideri dell’uomo desiderante, repressi da un ordine moralizzatore). Abbiamo visto troppo, siamo forse troppo smaliziati, abituati a pensare che l’esibizione sia qualcosa di scontato, quasi dovuto, e che un corpo bello, specie se femminile, deve essere assolutamente mostrato, privato della possibilità di velarsi di un’aura, appunto, di un finto mistero che possa sopraffare, per il troppo piacere, qualsiasi mascolina voluttà.
Il potere regolatore attuale anestetizza il desiderio mettendone in mostra l’oggetto, e quindi oggettivando il corpo veicolo del desiderio, in modo tale da tenere sotto controllo i conflitti interni e cercando nell’altrove, nell’estraneo, il facile capro espiatorio con cui sfogare la volontà di repressione; un potere regolatore dalle fattezze comiche, che incita alla jouissance de vivre e alla deresponsabilizzazione di sé.
Ecco quindi che di tutta la trama di A Bigger Splash non ci importa nulla, né dei rapporti e dei vettori di forza che si instaurano fra i vari personaggi in scena (una scena tra l’altro volutamente bozzettistica, scandalosamente folkloristica, inutilmente vedutista). Ad ammaliare è quella tensione, sempre frustrata, di volersi tuffare nell’immagine senza mai poterne raggiungere la fisicità, come a rimaner sospesi un attimo prima dello splash, a restare, narcisisticamente, a rimirare le proprie fantasie, a rimandare indefinitamente la soddisfazione erotica, preferendole la più pruriginosa promessa del piacere.