Sfuggire i cliché e capovolgere il senso comune delle convenzioni. Questi i talenti della regista Solveig Anspach, islandese trapiantata in Francia che sa descrivere le piccole cose con lo sguardo incontaminato di chi sa osservare le linee del reale. Così, l’incrocio di due gru nel cielo di Montreuil ha posto le basi per Queen of Montreuil (presentato nel programma delle Giornate degli Autori), storia stralunata e imprevedibile di Agathe e della sua famiglia improvvisa e improvvisata, che le si stringe attorno al ritorno dal Vietnam, dove il marito è morto lasciandola sola. Ma la solitudine va cercata in questa casa piena di oggetti e di fiori, con le finestre che si aprono ad accogliere tutti e dove, pare, confluiscano strade verso luoghi immaginari di pura poesia.
Anspach è attenta a non lasciarsi sfuggire dettagli preziosi e a trasformare le conversazioni tra i personaggi in funamboliche digressioni sulla vita che sempre ricomincia. Così la disorientata Agathe dovrà trovare il suo posto nel caos che la circonda, farsi largo nel continuo divenire, come se non ci fosse spazio per chi si ferma ad osservare dall’esterno il proprio mondo.
Commedia sofisticata sullo spaesamento, messa in scena, però, a partire dallo sguardo saldo di Anna e del figlio Ulfur, islandesi di ritorno dalla Giamaica, ma bloccati in Francia per l’improvviso fallimento della compagnia aerea nazionale. Grazie a loro sapremo vedere la città nelle sue più insospettabili angolazioni, dall’alto di una gru, da dove si può ammirare la Tour Eiffel, o nel segreto di uno zoo dismesso, dove è stata lasciata una foca per errore. Tra cielo e terra si consumano vicende minimali di raffinata poesia, ma anche derive surreali che non hanno timore di osare, di legarsi tra loro, senza mai mancare la misura e tradire la leggerezza che contraddistingue tutto il film. Il piacere puro di raccontare storie incredibili, o solo attimi delicati di quotidianità, continuamente travolti dall’invenzione di inquadrature geniali, capaci da sole di interpretare la realtà, anche se si tratta del microcosmo capovolto di una donna che, con la sua nuova “famiglia”, riesce a riportare al mare una foca triste, perché “nessun umano vuole reincarnarsi nel suo corpo”. Antica leggenda islandese che, presa alla lettera, mette scompiglio ma salva la vita. L’intricato percorso di Solveig Anspach alla fine ci porta a scoprire i lati magici della realtà. Basta saperli/volerli vedere. Basta lasciarsi lievemente trascinare. Alla fine Agathe, di nuovo sorridente, lancia uno sguardo in macchina. Un istante brevissimo ma forte segno di riconciliazione con quel film irrisolto che non riusciva a concludere.
http://www.youtube.com/watch?v=t1xl4kvGxl4