Venezia-2012-Linhas-de-Wellington-clip-poster-e-immagini-del-film-di-Valeria-Sarmiento-12La Storia avanza intruppata e trascina dietro di sé una carovana di straccioni, esuli, nobili decaduti, ognuno portatore di un frammento di vissuto, o dell’immagine di un volto (magari dell’amore perduto) su cui la camera indugia come a voler ricomporre un quadro cui manca sempre un dettaglio per essere compiuto. Dalla Storia si fugge andando oltre le Linee di Wellington, fortificazioni tanto imponenti da essere leggendarie, descritte come appartenenti a un mito, quasi irreali quindi insuperabili: dinanzi a loro la storiografia si ferma e lascia il posto al fantasmatico.

 

Ecco allora un film storico fuori dalla grande narrazione, un film di guerra privo di battaglie che diventa una galleria d’arte realista dell’Ottocento in movimento, in cui è possibile passare, con un leggero slittamento dello sguardo, di quadro in sogno e da qui al ricordo nostalgico di eventi mai accaduti: una sequela di fantasmi, che vagano in una città fantasma e che poi si accomodano nel salotto di una casa vuota ad evocare, nel racconto, altri fantasmi.


La rappresentazione ufficiale mostrerà solo i grandi eventi, con Wellington vittorioso, a cavallo, fiero forse più del suo naso raddrizzato dal pittore che di aver sconfitto un esercito di fantocci. Fuori dalla storia la morte è oblio, ed è possibile sopravviverle solo se si è disposti a diventare personaggi: se è vero che è il tempo a garantire il movimento nelle dimensioni che compongono la realtà, è però possibile rivivere in eterno come immagine mobile nell’atemporalità dell’irrealtà cinematografica senza dimensioni.