Che senso ha realizzare un film che ripropone gli scricchiolii, i primi segnali di cedimento interno, di un sistema, quello neoliberista, di cui stiamo già assistendo al collasso? Che poi questo sistema, nonostante l'evidente sfacelo, stia attraversando la crisi, da lui stesso generata, senza perderne l'egemonia, è un altro discorso.
Ramin Bahrani con At any price firma un'opera anacronistica, fuori tempo massimo, sia per il discorso affrontato che per l'iconografia utilizzata.
L'immaginario evocato è quello sedimentatosi negli occhi anche dello spettatore meno allenato: provincia degli Stati Uniti del Sud; sterminate distese di grano attraversate da placide e pachidermiche macchine agricole; silos; pale eoliche (versione alternativa delle trivelle petrolifere); camice a quadri; gare automobilistiche; inno e preghiere orgogliosamente e solennemente recitati; e un'incacellabile insoddisfazione radicatasi capillarmente nello sguardo di tutti. L'orizzonte piatto si riflette in occhi alluvionati di rosso.
Il registro è quello classico dell'epopea familiare, scossa al suo interno dallo scontro generazionale, raccontatoci attraverso l'incociliabilità tra padre e figlio. Il primo vorrebbe solo che quanto ereditato venisse poi continuato nell'imperturbabilità dei valori fondanti della comunità (lealtà verso la famiglia, il lavoro, la patria); il secondo non desidera altro che la fuga. Ma in realtà le loro differenze sono soltanto di facciata. Giocano dei ruoli, di cui si compiacciono, ma che all'evenienza tradiscono senza remore. Tanto il padre si dimostra corrotto e corruttore, quanto il figlio incapace di rinunciare alla solidità familiare e quindi disposto ad accettarne e continuarne le logiche.
In secondo piano le figure femminili: la madre, la moglie, l'amante, la fidanzata. All'apparenza vittime della loro debolezza in realtà capaci a ergersi a Lady Macbeth pronte a cancellare il sangue e a perpetuarlo.
At any price nonostante la luccicante patina non riesce a celare il vecchiume di cui è intrisa.